-di Luca Zanon- Il sistema elettorale per le presidenziali degli USA è uno dei sistemi elettorali più strani al mondo. Nominalmente si può racchiudere nei maggioritari, tuttavia è molto diverso dai maggioritari del Vecchio Continente. Poniamo subito in chiaro una cosa: similmente al sistema elettorale Italiano (almeno per quanto riguarda il Porcellum), l’elettore NON elegge il POTUS (President of the United States). La vera e propria elezione del POTUS avviene in un secondo momento da parte di figure mitologiche chiamate Grandi Elettori (o elettori del Collegio Elettorale). Questi individui, di solito politici locali o figure di secondo livello della politica Statunitense, vengono eletti a loro volta dagli elettori, e sono assegnati secondo due principi differenti: per quasi tutti gli stati vige la regola che il vincitore conquista tutti i seggi di quello Stato (AKA winner takes all rule). Nebraska e Maine, invece, utilizzano un sistema proporzionale per suddividere i Grandi Elettori. Questi Grandi Elettori si riuniscono in vari momenti, suddivisi per Stato di appartenenza; è per questo che c’è un ritardo di un paio di mesi tra l’election day ed il passaggio di consegne tra vecchio e nuovo POTUS. Per ottenere la carica di POTUS sono necessari 270 voti, che corrispondono al 50% + 1. Nel caso in cui non si raggiunga la soglia, sono Congresso e Senato a decidere chi diventa POTUS, scegliendo tra i primi 3 classificati. L’election day è fissato al primo martedì dopo il primo lunedì di novembre (un giorno che varia dal 2 all’8 novembre), mentre l’insediamento avviene il 20 gennaio (salvo rarissime eccezioni). Il processo si conclude il 4 marzo, con il discorso d’insediamento del neoeletto POTUS. Come potete già immaginare un sistema cosi’ particolare ha in sé parecchi problemi, soprattutto dal punto di vista della rappresentatività. Innanzitutto, i Grandi Elettori sono un numero fisso, corrispondente alla somma dei senatori e dei deputati eletti da ogni Stato. Essi, a loro volta, vengono stabiliti ogni 10 anni cercando di ricalcare il peso demografico di ogni singolo Stato. Tuttavia, esiste un vincolo costituzionale che impone un minimo di un rappresentante per camera per ogni Stato; inoltre i rapporti tra elettori ed eletti sfavorisce gli Stati più grandi: per eleggere un singolo Grande Elettore ci vogliono 700 mila voti in California ma solo 200mila nel Wyoming. Poi, il Grande Elettore non ha un vincolo di mandato, ma ha libertà di coscienza. Ciò è stato percepito come necessario dai Padri Fondatori, come sistema per bilanciare l’elezione diretta del POTUS; il loro ragionamento prevedeva che nell’eventualità che venisse eletto un tiranno, sarebbero stati gli stessi Grandi Elettori a ribellarsi. A noi disillusi millenials suona strano che gli sgherri del tiranno si ribellino subito dopo la Vittoria because reasons, ma tant’è. Infine, il problema più importante è dato dalla regola del winner takes all. Il problema nell’assegnare tutti i Grandi Elettori al vincitore è che la rappresentatività del sistema ne risente moltissimo, e non è controbilanciata; un maggioritario secco, ad esempio, può assegnare il seggio ad un singolo rappresentante, tuttavia l’elezione è diretta, e c’è un principio di accountability; l’eletto ha tutto l’interesse ad essere il più possibile rappresentativo del proprio collegio, di modo da essere rieletto. Nel sistema elettorale delle Presidenziali USA un ragionamento del genere non ha senso: l’eletto deve solo decidere chi votare come POTUS, e viene eletto con la chiara indicazione di chi votare come POTUS. Per cui in certi Stati per una parte dell’elettorato non ha senso andare a votare: un democratico in Texas, ad esempio, sta solo perdendo tempo. E infatti i casi di Grandi Elettori astenuti o che hanno votato contro la propria lista sono rarissimi. La winner takes all, quindi, si configura come un regalo al vincitore, ed è uno degli aspetti su cui i politologi americani sono più critici. Non solo per quanto riguarda la rappresentatività dell’esito del voto (ricordiamo, ad esempio, l’elezione di Bush Junior, avvenuta nonostante il conteggio dei voti lo vedesse sconfitto), ma anche per le dinamiche che vanno a generarsi: questa regola, infatti, ha generato Stati in cui non ha nessun senso fare campagna elettorale, e Stati in cui è importantissimo farla, perché costantemente in bilico (detti Swing States). La Florida è la più importante, con ben 29 Grandi Elettori (più del 10% degli elettori necessari per vincere), e di solito le elezioni più combattute vengono decise lì (ricordiamo sempre l’elezione di Bush Junior del 2000, vinta grazie a soli 930 voti!). In definitiva, il sistema elettorale degli USA non è particolarmente consigliabile; analizzandolo ci si rende conto del fatto che è vecchio e farraginoso. La stessa data dell’elezione è emblematica di ciò: si vota a novembre perché è un mese dove non c’era la semina (ricordiamo che, inizialmente, il diritto di voto spettava ai soli proprietari terrieri) ma, allo stesso tempo, non era così rigido da pregiudicare gli spostamenti. La scelta del “secondo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre”, invece, serviva per evitare che il giorno cadesse in una data festiva (la domenica o la festa di Ognissanti). Il sistema elettorale di tipo presidenziale più apprezzato dalla politologia è il semipresidenziale francese, mentre un ottimo sistema maggioritario (secco, senza doppio turno) è quello del Regno Unito. Tuttavia è sicuramente interessante rilevare che, nonostante l’affluenza (attorno al 50%) sia bassa, nonostante i gravi problemi di rappresentatività dati dalla winner takes all e dal sistema dei Grandi Elettori, la critica di essere poco rappresentativo della volontà popolare venga raramente mossa verso il POTUS. Segno di una cultura politica molto forte nonostante l’apparente disinteresse. Un insegnamento a chi vorrebbe risolvere i problemi di rappresentatività con l’ennesima legge elettorale.