A cura di Francesco Severa – Inizia senza una stretta di mano il dibattito presidenziale di questa notte a Saint Louis, in Missouri. Dato che ben rappresenta la profonda rottura che esiste tra i due candidati di questa così peculiare campagna elettorale. L’ultima settimana in particolare ha segnato forse il punto più basso mai raggiunto dal confronto politico negli Stati Uniti. La pubblicazione di un video del 2005, che conteneva commenti irripetibili sul sesso femminile rubati a Donald Trump durante la pausa per la registrazione di un programma televisivo, ha generato una fuga di massa dalla barca del miliardario newyorchese. In quella che è forse un’inedita rarità nella storia delle presidenziali americane, perfino i leader del partito repubblicano – John McCain in testa – non solo hanno sconfessato il proprio candidato, ma addirittura sono arrivati ad ipotizzare un cambio in corsa con il candidato vicepresidente, Mike Pence. Dunque alla vigilia del dibattito tutta l’attenzione era focalizzata proprio su Trump, sicuri che l’intero confronto sarebbe stato un tentativo di estrema e impossibile difesa di una candidatura ormai segnata dalla sconfitta. Al contrario, come ogni singola volta che si è trovato in difficoltà, il tycoon è stato pronto di nuovo a rilanciare e ad alzare la posta, con la fredda capacità “of going for broke” – di giocarsi cioè il tutto per tutto. Siamo a poche ore dal dibattito quando Donald Trump si presenta in una improvvisata conferenza stampa seduto al fianco di Paula Jones, vecchia amante di Bill Clinton, e altre due donne che accusano il vecchio Presidente di abusi sessuali. Quasi un avvertimento a Hillary perché non scavi troppo a fondo nella vicenda, in quanto troverà l’avversario pronto ad alzare quanto più fango sia possibile. Una minaccia velata e assurda che in realtà sembra abbia funzionato. Durante il dibattito si parla immediatamente della questione del video del 2005. Trump tenta di scusarsi e poi di spiegare che quelle sono parole che non lo rappresentano. Poi passa all’attacco e afferma come la candidata democratica dovrebbe solo vergognarsi di sollevare questa questione visto il passato del marito. Trump è molto nervoso mentre parla; mischia gli argomenti, non segue un filo logico, passando dalle scuse al tema ISIS. Ma Hillary non è certo meno tesa. Per rispondere alle accuse cita Michelle Obama, dice che Trump non è adatto a fare il Presidente, visto come umilia le donne. Tutto in un clima surreale, visto che all’interno della stessa sala della Washington University, dove si tiene il dibattito, si trovano insieme accusati e accusatori, Bill Clinton e le sue amanti, Hillary e Trump. Quasi inspiegabilmente però la Clinton evita l’affondo finale contro l’avversario. Risponde sempre in maniera composta, presidenziale potremmo dire, ma evita di sferrare il colpo di grazia. Non nomina mai, per esempio, l’abbandono in massa dei repubblicani dall’appoggio a Trump. Una scelta certamente, ma che forse in questa occasione non l’ha aiutata, vista la grande forza con cui Trump l’ha attaccata. Per tutto il dibattito, qualsiasi argomento venisse toccato dalle domande del pubblico, i due hanno continuato ad insultarsi. E’ stata un’esibizione alquanto fastidiosa e irritante, che ha toccato vette eccelse nella storia mondiale dell’ingiuria. Mai si era visto un candidato presidente dire all’avversario che nel caso verrà eletto lo avrebbe messo in galera. Non si era mai visto un candidato presidente accusare l’avversario di essere un mentitore di professione. Mai si era visto un candidato presidente chiamare l’avversario “devil” – il diavolo. Lo stile dei due era completamente opposto. Trump si agitava e camminava continuamente, occupando l’inquadratura della Clinton mentre lei rispondeva alle domande. La Clinton al contrario tentava di essere più calma, ascoltava l’avversario seduta e con una faccia impassibile, tranne quando sorrideva in risposta agli insulti del repubblicano. Uno spettacolo dunque alquanto grottesco, giustificato dal clima osceno e turpe di queste elezioni presidenziali. Certo sarebbe ipocrita stupirsi di quanto la Politica possa a volte celare momenti irrinunciabili di così acuta bassezza da sembrare sguazzare nella melma; è però profondamente criminale costringere gli elettori a scegliere sulla base dell’odio. Difficile comprendere chi dei due abbia avuto la meglio stasera. Certamente entrambi hanno realizzato i loro obiettivi nel breve periodo. Trump ha galvanizzato i suoi elettori; ha urlato all’America di essere vivo quando tutti lo davano ormai nella tomba; ha detto ai suoi colleghi di partito che lo hanno rinnegato che può andare avanti anche senza di loro. Si è perfino permesso di sconfessare il suo vice Pence, correggendo la posizione del governatore dell’Indiana sulla questione Siria. La Clinton ha mostrato la sua faccia più rispettabile. Accanto a Trump sembrava veramente un modello di preparazione e cercava di far passare il messaggio che davanti al candidato repubblicano l’unica reale ed affidabile alternativa per la presidenza sarebbe proprio lei. Certo questo dibattito non ha fatto altro che congelare la situazione attuale e difficilmente ha convinto qualche indeciso a recarsi alle urne. L’unico reale tentativo di allargare la base elettorale è stato fatto da Trump, che ben due volte ha nominato Bernie Sanders, quasi a voler fare appello a quanti lo hanno sostenuto durante le primarie democratiche perché non decidano di votare una candidata così vicina a quel sistema mediatico-finanziario che hanno tentato di combattere con la loro mal riuscita rivoluzione. Per chiudere, un dato interessante. Negli ultimi giorni, quando si era parlato di una cambio al vertice della candidatura repubblicana, molti avevano ipotizzato di sostituire Trump con il suo vice Mike Pence, che si era distinto nel dibattito del quattro ottobre tra i vicepresidenti. Pence però non aveva dato seguito a queste proposte. Anzi, questa notte è stato il primo, appena finito il dibattito, a congratularsi con Donald per l’ottimo risultato. Quasi a voler dire che in corsa non si cambia niente e che si andrà avanti fino all’otto novembre. Certo forse mai nella storia delle elezioni americane era accaduto che un candidato alla vicepresidenza superasse in stima il candidato alla presidenza. E non pochi oggi cominciano a parlare di come dopo il tracollo di Trump la ricostruzione del Great Old Party potrebbe partire proprio da questo cattolico irlandese, intransigente e riservato.