– a cura di Giovanni Russo – Il nostro avvenire collettivo sarà condizionato dalle scelte nazionali, ma anche dall’evoluzione della politica europea e dai grandi accordi, per una nuova governance globale, indispensabili per affrontare le crisi mondiali. Il processo d’integrazione europea, in maniera costante e direi quasi silenziosa, ha prodotto risultati concreti e visibili in fatto di tutela e promozione di diritti, e di progresso economico e sociale che costituiscono un patrimonio comune e indivisibile della nostra Unione. Visioni nazionalistiche miopi mettono in dubbio questi risultati proponendo scorciatoie del secolo scorso, sfociate in fallimenti drammatici. Illudersi di chiudere il mondo fuori dall’uscio di casa è la via sicura per essere sconfitti e marginalizzati sul piano della difesa degli autentici interessi nazionali. Nel mondo di oggi – quello dei mercati unici e delle migrazioni intercontinentali, delle mobilitazioni globali fatte di hashtag e video virali – nessuno può davvero pensare di tornare indietro, di chiudersi nella propria piccola parte di mondo, nelle certezze di ciò che si è conosciuto, di ciò che è rassicurante. Non ci sono confini. Ma il mondo globalizzato è anche un mondo di identità sempre più frammentate e forse per questo più fragili, spaventate. Quale sarebbe allora il “costo’’ della “non Europa” in termini economici e politici? Cosa accadrebbe se, accanto alla grave situazione che fronteggiamo nel Mediterraneo, alle guerre medio-orientali, al conflitto apertosi tra Russia e Ucraina, dovessimo aggiungere una ritrovata ostilità tra i Paesi dell’Unione, con il serio rischio di portare alla ribalta egoismi nazionali, cavalcati da movimenti di matrice populista e anti-sistema? Gli scenari dei prossimi anni dipendono dai risultati di partite che si giocheranno almeno su tre grandi piani: Crisi economica e monetaria, immigrazione e terrorismo; oltre la capacità del governo italiano di attuare riforme indispensabili, ma anche di ridare fiducia a un Paese impoverito e diffidente. Queste le tre grandi sfide, oggi emergenze, che si affacciano sul nostro orizzonte internazionale, e come tutte le sfide, anche queste costringono a una risposta, a una reazione. Pensare però che una realtà come l’Unione Europea esista solo per giocare in difesa sarebbe una visione profondamente errata ma, naturalmente, dobbiamo rispondere alle tre sfide parallele presenti, tutte particolarmente gravi. La sfida del terrorismo impone una maggiore integrazione, sia per affrontare la minaccia interna, sia per accrescere la capacità dell’Unione Europea di contribuire a contrastarlo laddove nasce. La gestione dei flussi migratori richiede nel contempo maggiore solidarietà interna ed un ruolo più attivo di proiezione esterna della Ue in collaborazione con Paesi terzi e partner internazionali. Abbiamo accantonato in questi anni le politiche che puntavano, a creare intorno alle Ue un’apertura verso i Paesi “amici”. L’Europa è apparsa spesso chiusa in una logica autoreferenziale. Completare l’Unione economica e monetaria per sbloccarne il potenziale inespresso; rafforzare l’Unione bancaria per restituire fiducia nel settore bancario, cruciale per la crescita e favorire la concessione di crediti per gli investimenti; usare i margini di flessibilità previsti dalle regole di bilancio per promuovere investimenti produttivi: sono queste alcune delle priorità che, se realizzate, contribuiranno a rafforzare un’Unione che appare disorientata. Non accetto l’idea che si sia esaurita la capacità dell’Europa di produrre nuova ricchezza, creare nuovi posti di lavoro, stimolare la crescita nella giusta direzione. Per ristabilire la piena occupazione occorre un nuovo impulso di dimensione storica. Che ruolo l’Italia possa e debba giocare negli scenari futuri? Sicuramente da protagonista! Affinchè ciò avvenga, abbiamo bisogno di una nuova forza propulsiva comparabile con quelle che hanno sospinto i principali processi di rinnovamento degli ultimi due secoli: la rivoluzione industriale, l’inaugurazione dell’epoca delle ferrovie, l’impatto di Keynes, la necessità della ricostruzione post bellica, la diffusione fra le masse popolari dei paesi industrializzati di quel tenore di vita che prima era proprio soltanto della classe media. L’Unione Europea, e quindi l’Italia, può essere una potenza di livello globale. Deve esserlo. Può dare nuova forza alla “speranza multilaterale”. Ma dobbiamo trovare l’anima, il sogno, l’orgoglio, l’ardore che consegue all’operare della mente. Un tepore. Un sentimento che rende vivi, e sta all’origine non solo del pensiero, ma del mondo. Solo così potremo essere anche agli occhi del mondo modello e punto di riferimento. Come diceva il manifesto di Ventotene, “la via da percorrere non è né facile né sicura, ma deve essere percorsa”. Sono certo che troveremo il coraggio, la forza e il “tepor” latino di percorrerla, insieme, da italiani e quindi, da europei.