Il mantenimento del potere da parte di Erdogan determinerà necessariamente un allontanamento ancor più deciso della Turchia dai valori dell’Europa, proseguendo il cammino verso l’islamizzazione intrapreso dal paese: ha iniziato con repressione della libertà di stampa, bugie sui profughi, rifiuto di partecipare attivamente alla coalizione internazionale contro il terrorismo e arriverà, attraverso la potenziale modifica della Costituzione verso la repubblica presidenziale, a giustificare qualsiasi decisione unilaterale e autoritaria, forte anche della giustificazione a reprimere con la forza le rivolte, con la scusa di mantenere l’ordine nel paese, mancato per qualche ora con il colpo di stato di venerdì 15 luglio.
A golpe finito, inoltre, è chiaro alle autorità turche che è necessario il massimo impegno per il rispetto dello stato di diritto e dei diritti fondamentali? Il pronto ristabilimento dell’ordine costituzionale e della stabilità sono urgenti e necessari ma senza indulgere a logiche di violenza; eppure salgono continuamente i dati dei militari arrestati – confermati più 6000 al momento, oltre a 755 magistrati e 650 civili. E addirittura si parla di violenti omicidi e mutilazioni dei rivoltosi al grido di “allah è grande” e di stabilimento della pena di morte, una deriva autoritaria e dittatoriale che riporta il paese indietro di secoli, in un mondo barbaro e senza sviluppo, figlio della regola per cui è meglio eliminare un colpevole (o un nemico) piuttosto che punirlo e riabilitarlo come avviene nelle più mature democrazie occidentali ed europee.
Nell’ambito del ruolo del nostro paese verso la Turchia, è necessario evidenziare che l’Italia non fa bene a mantenere un registro di prudenza e di equilibrio: ciò che occorre è una presa di posizione decisa e una risposta corale dell’Europa, non una pedissequa presa d’atto di ciò che è successo, senza giudizi e senza impegno riformatore. Se è vero infatti da una parte che Erdogan è stato eletto democraticamente, è anche vero che in una dimensione internazionale come quella di oggi, non si può derogare ad affermazioni che ricordino decisamente la necessità – per un paese che aspira ad entrare nella UE – di rigettare qualsiasi deriva totalitaria, motivo di più se essa è di stampo islamista.
Se nell’UE entra un paese del genere, la stessa Unione non ha più ragion d’essere e la presenza dell’Italia al suo interno è incompatibile; altro che seguire la proposta del ministro Alfano di finanziare la Turchia islamista perché fermi i flussi. Arriveremo a finanziare direttamente il califfato? Ripensiamo fin da ora quale futuro vogliamo per il nostro continente: invasione islamica o rivitalizzazione delle radici cristiane che hanno reso grande l’Occidente.