di Filippo Del Monte – Si è fatto un gran vociare sulla presunta decisione del governo italiano di bombardare le postazioni dell’ISIS in Iraq. Si è pensato che per una volta Roma avesse deciso di prendere la situazione di petto “imitando” quanto fatto da Putin in Siria. Niente di più sbagliato, dal Ministero della Difesa hanno subito replicato che decisioni del genere vanno prese di comune accordo con gli alleati (e su questo niente da contestare) e che l’impiego offensivo dei nostri aerei resta per ora solo un’ipotesi (e qui ci sarebbe molto da ridire).
La nostra famosa riluttanza ad intervenire in azioni militari anche quando i nostri interessi nazionali sono messi a rischio ci ha resi tristemente famosi nelle cancellerie di tutto il mondo. Certo, il Medio Oriente non è una nostra priorità strategica se paragonato alla Libia, ma è anche vero che i due scenari sono collegati, due fronti della stessa guerra. Un rafforzamento dello Stato islamico nel Levante porterebbe necessariamente ad una sua espansione in Africa settentrionale ed uno Stato fallito come la Libia è il brodo di coltura ideale dell’islamismo militante. Una collaborazione che non sia solo politica e diplomatica con i nostri alleati (più o meno ufficiali) diventa fondamentale perché giocare un ruolo più attivo tra le sabbie levantine significherebbe avere una carta in più nel proprio mazzo da giocare al momento della ristrutturazione politico-strategica del “Grande Medio Oriente”.
Nel periodo di formazione dello Stato islamico, quando gli attacchi delle milizie di al-Baghdadi si concentrarono sul Kurdistan iracheno, l’Italia decise di fornire armi ai guerriglieripeshmerga; fu un’azione dovuta ma di scarso impatto sulle vicende del conflitto poiché non fu la genesi di una strategia “in crescendo” volta all’intervento militare di Roma ma il solo “sforzo” che il nostro Paese era disposto a compiere in Medio Oriente. Decisamente poco per essere considerati “parte in causa” dagli alleati occidentali ma fin troppo per far finta di non esserci schierati affatto. Questa linea ambigua è stata seguita da Roma fino ad arrivare ad un punto pericoloso, del resto prima o poi tutti i nodi vengono al pettine, in cui al momento di agire ci ritroviamo impreparati.
Stare nella “zona grigia” dei conflitti non è una caratteristica della Politica estera del centrosinistra ma un retaggio della pavida “italietta” (dove la i minuscola è voluta) in preda a crisi di coscienza ogni volta che i grandi eventi della Politica internazionale richiedano uno sforzo che vada oltre la presenza scenica dei nostri rappresentanti ai summit. Il centrodestra italiano, avendo il “vantaggio” di stare all’opposizione, può svolgere l’importante ruolo di correttore della linea politico-militare tenuta da Palazzo Chigi. Si potrebbe innanzitutto sottolineare che bombardare le postazioni dell’ISIS in Iraq è funzionale al nostro obiettivo a lungo termine di raggiungere la stabilità nel Levante; poi sul fronte iracheno si è ben consci di chi sia il nemico e tutte le ambiguità e gli schieramenti fluidi che fanno da contorno al conflitto siriano non si ripropongono. Sposare aprioristicamente l’intervento solo per la voglia di “dare una lezione” allo Stato islamico potrebbe rivelarsi controproducente, questo perché bisogna sempre fare i conti con i costi che le azioni militari comportano e poi perché un eccessivo sforzo in Medio Oriente potrebbe far perdere di vista a Roma le sue priorità nel Mediterraneo.
L’azione politica del centrodestra su questo tema dovrebbe essere proprio la cartina al tornasole per la nostra Politica estera, per capire cioè se la strada intrapresa è quella giusta; quella attuale decisamente non lo è. Guardare con realismo all’attuale situazione mediterraneo-levantina in continua evoluzione è l’unico strumento valido per avviare una fase nuova della nostra Politica estera, dove i nostri interessi riescano a coniugarsi con quelli regionali. La via per archiviare definitivamente la nostra “italietta” passa per l’oculatezza delle scelte e per la capacità di prendere decisioni con il centrodestra che, se unito, può essere un valido contenitore da cui attingere idee per affrontare le difficili sfide che il presente ed il prossimo futuro ci riservano.