In quel magma politico-ideologico che fu la Germania di Weimar la Russia – da poco – bolscevica, che sembrava aver cancellato i secoli di dominio zarista in un batter d’occhio, finì sotto lo sguardo attento del teorico nazionalboscevico Ernst Niekisch. Già volontario nella Grande Guerra, poi socialdemocratico, Niekisch era affascinato sì da Marx ma anche dal nazionalismo identitario tedesco. Sulla sua rivista “Wiederstand ” portò avanti una dura polemica contro il liberalismo e la “latinità” dell’Europa individuando nella “barbarica” Russia sovietica l’alleato ideale per una Germania contagiata dalle teorie nazional-rivoluzionarie. Della Russia bolscevica Niekisch ammirava soprattutto “la volontà di produrre e difendere la Patria, la fortificazione eroica dello Stato, l’atteggiamento guerriero e aristocratico delle classi dirigenti”. Tutti caratteri questi che si possono facilmente ritrovare anche nella Russia odierna, post-zarista e post-sovietica ma allo stesso tempo neo-zarista e neo-sovietica; un’eterna contraddizione che diventa la forza di questa grande comunità di popoli a proiezione imperiale.
La visione imperiale della Russia è dovuta sia a fattori geografici – l’enorme estensione, l’essere a cavallo di Europa ed Asia – che a fattori culturali e storici: quale erede dell’Impero bizantino – e di conseguenza dei figli diretti della romanitas imperiale – la Russia è stata spinta sempre ad unificare in un’unica grande “ecumene” cristiano-ortodossa e “romana” i popoli. Lo si può notare tanto nella politica degli zar, quanto nell’espansionismo sovietico (che aveva però sostituito con il mito della “Patria socialista” quello dell’imperialità romano-ortodossa). Oggi, con il trionfo della “geopolitica dei grandi spazi”, la Russia ha assunto nuovamente la sua fisionomia imperiale, impensabile fino a pochi anni fa. Putin e Medvedev hanno trasformato la “democrazia sovrana” russa in “democrazia sovrana ed imperiale” con la vittoriosa guerra in Georgia, l’annessione della Crimea e la conseguente “mutilazione” dell’Ucraina; per non parlare poi dell’aquila bicipite dei Romanov che lambisce ora anche le coste siriane ed attraversa trionfalmente i deserti levantini. Grazie ad un’accorta strategia politico-diplomatica il Cremlino ha fatto della Russia il centro irradiatore di un sistema “altro” rispetto a quello euro-americano od a quello cinese, distanziandosi perfino da quei BRICS in cui era stata classificata al tempo del suo boom economico. Insomma, la Russia sta ricostruendo il suo “giardino di casa” dopo aver rafforzato la propria struttura interna.
Difficile parlare della Russia ancora come “Potenza emergente”, meglio sarebbe dire “Potenza ri-emergente”, che torna grande dopo essere stata drammaticamente sconfitta nella Guerra Fredda. Scenari politico-strategici da seguire con attenzione sono quello del Mar Nero – dove la guerra ucraina va a congiungersi con il nuovo corso autoritario della Turchia di Erdogan e con il “cordone sanitario” della NATO -, della Siria e del Nord Africa, con Mosca che ha iniziato una pericolosa opera di penetrazione; a tal proposito tanto i rapporti con l’Egitto di Al-Sisi quanto quelli con il governo libico di Tobruk, e quindi con il generale Haftar, sono emblematici. La “nuova” Russia putiniana è tale anche perché ha nuovi obiettivi geopolitici: se il raggiungimento dei mari caldi è ormai cosa fatta – coronando il sogno di Pietro il Grande – queste posizioni ora andranno difese (e tutto ciò è alla base dell’intervento armato di Mosca in Siria) e create le condizioni per una futura avanzata.
Certo, la Russia ha ancora problemi strutturali non da poco, la “guerra delle sanzioni” con l’UE ne ha danneggiato l’economia, ma il potere politico di Putin è saldo ed il “sistema Paese” è nel complesso in buona salute. Resta poi la grande incognita dei rapporti bilaterali con gli USA in preda alla “rivoluzione trumpiana”. Ma di una cosa si può esser certi: in un mondo che sta tornando multipolare la Russia giocherà la partita da protagonista.