In un momento di crisi economica come questo, il venditore non può reggere più il confronto con gli esercizi irregolari che vendono merci contraffatte e a prezzi stracciati. Il commerciante non deve più pensare alle entrate e alle spese dei fornitori, ma deve anche badare alle pesanti tasse e imposte che lo Stato italiano richiede. L’idea imprenditoriale cambia totalmente il modus operandi nella gestione del locale, con spese sempre più proibitive per i professionisti del settore. I commercianti lamentano di essere abbandonati in questo problema dalle istituzioni, nonostante le notevoli tasse statali (da non confondere con le imposte) che ognuno di loro paga. Ma la gestione non si riduce ad aspetti manageriali e fiscali, ma anche a una cura delle proprie aree limitrofi: il gestore di un locale spesso si prende cura in prima persona del marciapiede e l’urbanistica adiacente alla sua area, per rendere più accogliente la sua attività e cercare di sopperire alle gravi mancanze istituzionali che danneggiano il suo lavoro. Tutto ciò mentre lo Stato concede la concorrenza sleale a questi settori, con ambulanti irregolari che vendono “prodotti” senza scontrini e soprattutto senza nessun tipo di controllo o sanzione. Le verifiche istituzionali (cadute le licenze nel lontano ’94 con Bersani) bersagliano i regolari, senza che grandi azioni vengano portate avanti contro gli abusivi. Quest’ultima categoria invade marciapiedi illegalmente, tiene negozi che non rispettano le normali regole di mercato e soprattutto non si attiene alle regole igienico sanitarie come nel caso di alcuni ambulanti alimentari (vu cumprà che vendono sulle spiagge granite, cocco, pannocchie o bibite).
La politica romana pare essersi dimenticata di queste spiacevoli situazioni, lasciando operare incontrastati questi abusivi. Nonostante le varie commissioni antimafia che hanno trattato la tematica (non ultima Rosy Bindi nel X Municipio), l’amministrazione e il governo non hanno mai accennato a una reale lotta contro il commercio irregolare. Proprie per le mancanze istituzionali, tanti negozi storici della Capitale hanno chiuso in favore delle aperture di dubbi store cinesi o mediorientali: via Cavour, piazza Vittorio Emanuele II e San Giovanni sono esempi emblematici di questo problema.
Ma non solo i minimarket stranieri mettono in crisi l’imprenditore – o negoziante – italiano: ora diventano sempre più presenti i mercatini rom, che vendono cianfrusaglie prese dall’immondizia. Nonostante la qualità infima dei rottami e la totale mancanza di precauzioni igienico/sanitarie, questi “mercati delle pulci” vedono sempre una più assidua la presenza di persone anziane. Con l’attuale crisi finanziaria, purtroppo i cittadini tendono a cercare prodotti a prezzi stracciati e senza controllare la reale qualità della merce. Anche qui le istituzioni paiono incapaci di contrastare il problema, visto che a compiere tali atti sono sempre gli stessi volti che vengono fermati e poi ripescati in “castagna” pochi giorni dopo per lo stesso motivo.
Se le forze di polizia e d’amministrazione non aiutano, complici dell’abusivismo sono anche le attuali leggi in materia: attualmente paiono facilmente aggirabili (come nella titolarità dei negozi) e del tutto buoniste verso i trasgressori e gli ambulanti irregolari. L’Italia deve ricominciare dal commercio, investendo per difendere quei venditori che vogliono svolgere la propria attività nella legalità. Soprattutto questo Paese deve far vedere una vicinanza maggiore a questa categoria, rispondendo con servizi viste le tante tasse che richiede.