– di Filippo Del Monte – Roger Nimier è uno dei “grandi sconosciuti” della letteratura francese in Italia. Pochi nel nostro Paese conoscono le opere e la vita di questo aristocratico bretone trapiantato a Parigi, scrittore morto a 36 anni nel 1962 e nessuna casa editrice negli ultimi anni ha pensato di pubblicare le sue opere tradotte. Impossibile mettere in discussione il talento letterario di Nimier, è probabile però che il suo essere stato un fervente uomo di destra, monarchico e contrario alla decolonizzazione, ne abbia fatto una figura ingombrante e da evitare per le case editrici del nostro circuito ufficiale. Cosa ancora più strana è che nemmeno gli editori e gli intellettuali “non conformi” italiani abbiano voluto concedere uno spazio a Roger Nimier che pure tanto avrebbe da dire in questi tempi moderni.
Quando il 28 settembre 1962 Nimier andò a schiantarsi con la sua Aston Martin sull’autostrada dell’Ovest, non era di certo un perfetto sconosciuto, tutt’altro. Nei circoli intellettuali transalpini era conosciuto come il rivale, l’avversario o direttamente – se si vuole – il nemico di Jean Paul Sartre, il filosofo esistenzialista campione della sinistra internazionale e come il “capomanipolo” d’una banda di scrittori di destra chiamati “ussari” dal titolo del romanzo di Nimier Le hussard bleu. Timido ed al contempo capace di stupire e di scioccare le dame della Parigi colta e benestante, Nimier si vantava di lasciar di stucco quelle incipriate signore sedute a cena accanto allo “scrittore fascista”.
Dieci anni prima il giornalista e scrittore Bernard Frank sulla rivista sartriana Les Tempes Modernes aveva coniato spregiativamente il termine di “ussari” per accomunare scrittori tra cui Nimier, Blondin e Dèon; insomma, il fior fiore della cultura “destrorsa” transalpina sopravvissuta alla guerra ed alla successiva epurazione. Nonostante il rigetto dell’etichetta appioppatagli da Frank, questi scrittori avevano caratteristiche comuni che dal punto di vista letterario possono riassumersi come la contrarietà allo stile del “nuovo romanzo” e contro lo sperimentalismo del “romanzo a tesi” di Sartre. Di pari passo Frank scrisse – convinto di sminuirli ma di fatto lodandoli – che gli “ussari” si consideravano inventori della frase breve che “maneggiano come se fosse una mannaia”.
Ma veniamo alla politica. S’è detto “scrittore di destra” riferito a Roger Nimier. Ebbene, Nimier fu convintamente reazionario, certo del fatto che una differenza tra destra e sinistra esistesse realmente e con una posizione particolarmente ambigua – secondo gli standard politici e culturali francesi – sulla Seconda guerra mondiale: il suo alter ego nel romanzo Le hussard bleu François Sanders è prima un partigiano, poi un membro della Milice collaborazionista di Vichy ed infine un ussaro nell’esercito della Francia Libera. I ribaltamenti di fronte di Sanders sono in fondo gli stessi che Nimier fece, internamente, durante il conflitto; simili a quelli di un Giovanni Papini per nominare l’intellettuale italiano “incendiario di anime” e genuino “voltagabbana”. E’ lo spirito di rivolta ad animare Sanders ben più della fedeltà ad un’idea prestabilita, è l’ostilità verso la modernità corrotta che lo spinge ai repentini cambi di fronte fino a scegliere consapevolmente di militare tra i ranghi degli ussari, il corpo militare simbolo dell’ Ancien Régime. Dopotutto ad un monarchico in regime repubblicano, ad un controrivoluzionario nella patria della rivoluzione, ad un anti-illuminista nella terra dei lumi, non rimaneva che lo “spirito di rivolta” a dare una qualche certezza alla propria visione del mondo. Il conformismo come anticonformismo nella modernità che è un laboratorio a cielo aperto per Nimier scrittore e polemista; modernità da osservare con le lenti del distaccato, ironico -a tratti amareggiato – intellettuale del Secolo XVIII intrappolato invece nel ‘900.
Dunque Nimier esce dalla guerra – dove prestò servizio proprio come ussaro ma restando sempre di guarnigione – con una profonda sfiducia nei confronti del nuovo capitolo della storia del mondo che andava ad aprirsi nel 1945. Nimier farà dire al suo Sanders “tutto ciò che è umano, mi è straniero”, come a voler rimarcare questo senso di estraneità dalla modernità. Terminata la guerra del “fuoco e dell’acciaio” Nimier si lanciò nella sua personale guerra delle lettere contro la sinistra. Eccelso romanziere ma anche caustico, micidiale, ironico pamphlettista fu Roger Nimier dal 1948 al 1953. I suoi punti di riferimento politici e letterari furono lo scrittore fascista suicida Pierre Drieu La Rochelle e l’orleanista Georges Bernanos. La destra culturale francese della prima metà del Novecento ha un tratto comune: tutti i suoi esponenti hanno militato nella formazione monarchica e nazionalista dell’Action Française avendo come punto di riferimento politico Charles Maurras. Proprio all’ Action Française si avvicinò Nimier diventando la voce “ufficiosa” di questo sparuto ma agguerrito gruppo politico.
La vicenda degli “ussari” segue in tutto e per tutto quella dei maurrassiani, a partire dalla firma del “Manifesto degli intellettuali francesi” contro l’abbandono dell’Algeria fino ad arrivare alla protesta pubblica e chiassosa contro la politica di pacificazione avviata da De Gaulle nei dipartimenti africani. Il Manifesto degli “ussari” fu una chiara e puntigliosa risposta al “Manifesto del 121” – ispiratore e primo firmatario Sartre – che invitava i soldati francesi alla diserzione. Il rapporto degli “ussari” con la decolonizzazione è una parentesi controversa; come la gran parte della destra europea del tempo infatti essi ritenevano che la perdita delle colonie fosse il sintomo d’un processo di decadenza non più rimandabile per la Nazione. Per capire bene questo stato d’animo basta pensare a quanto rumore fece la perdita dei possedimenti coloniali in Italia a seguito del Trattato di Parigi del 1947 con le proteste di monarchici e missini accompagnate da quelle del Partito Comunista Italiano.
Anche il rapporto con De Gaulle fu contraddittorio, si potrebbe dire di amore-odio. Infatti il generale fu inizialmente visto come l’ancora di salvezza per una certa destra culturale dai tratti elitari in cerca di autorità; la politica avviata dall’Eliseo e che portò poi all’abbandono dell’Algeria da parte francese fece notevolmente calare le quotazioni golliste in seno agli “ussari” che divennero accesi avversari del presidente. Tutto questo però non va confuso con semplici divergenze legate alla “politica coloniale” della Francia post-bellica. Essere di destra per gli “ussari” e per Nimier in particolare significò andare alla ricerca dell’autorità. La parola chiave per definire il pensiero politico di Roger Nimier è forse “restaurazione” intesa come ripristino dell’autorità dello Stato e della sacralità della Nazione, ma anche come difesa degli antichi valori aristocratici della Francia. Si potrebbe dire che la breve ma intensa stagione politica di Roger Nimier fu una riproposizione in chiave moderna, fruibile, attiva, scoppiettante – a tratti dandy e mai snob – della controrivoluzione vandeana.
Dai romanzi alle sceneggiature per il cinema, fino ad arrivare ai progetti editoriali, Roger Nimier fu un “antimoderno ultramoderno”, capace di leggere le grandi questioni del suo tempo così come di interpretare le insicurezze, i dubbi, l’amarezza ed anche la scanzonata felicità dell’essere umano nella fase di transizione verso la modernità, la “nostra” modernità. Tutti i suoi personaggi sono delle “eterne contraddizioni“, il palcoscenico d’inchiostro su cui recitano i protagonisti ha tratti “sorrentiniani”. Guerra, amori perduti o mai trovati, incesti, disperate passioni, vite “scapigliate” sono l’esplosivo cocktail dei libri di Nimier che hanno la sua amata e dannata Francia in decadenza come sfondo. In una Francia che s’avviava ad essere la “molla” della contestazione europea con il suo maggio ’68, Nimier fu invece il cantore e l’ispiratore di una “contro-contestazione” che ha avuto tutto il fascino dell’impresa disperata, della scorribanda piratesca consumata tra i luccicanti saloni dell’intellighenzia parigina, i castelli dalle pietre impregnate d’aria salmastra della Bretagna e le campagne della Francia profonda.
Pochi mesi prima di morire Roger Nimier decise di curare e ripubblicare le opere di La Rochelle – solo ultimamente ammesso nel pantheon dei letterati transalpini dopo anni di ostracismo antifascista – per dare a questo scrittore la giusta visibilità. Oggi sarebbe bello se qualcuno in Italia – ancora meglio se lo facessero i giovani editori di destra – scegliesse di tradurre e far conoscere al grande pubblico le opere di Roger Nimier facendo scoprire anche ai lettori al di qua delle Alpi questo conservatore atipico, questo reazionario moderno, questo vandeano del ‘900. Diamo cittadinanza politica e culturale in Italia a Roger Nimier.