A cura di Federico Castiglioni – Secondo Stein Rokkan, studioso e sociologo degli anni ’60, lo Stato nazionale moderno è contraddistinto da una serie di “fratture” interne le quali, catalizzando le opinioni e il dibattito pubblico, formano e modellano la politica nazionale. Le fratture più classiche sono: tra Stato e Chiesa (potremmo dire in senso lato tra laicismo e religiosità), tra città e campagne, tra capitale e lavoro e tra centro e periferia. In questi anni così interessanti nei quali stiamo vivendo i sociologi e gli scienziati politici hanno creato altre categorie, altri modi di leggere l’attualità politica, che spesso esulano da queste linee di faglia tradizionali. Si è parlato molto dell’ irruenza del populismo e dell’ antipolitica, della “post verità” e del ritorno dei nazionalismi. In questo prolifico tentativo di classificare la realtà attuale, diffuso e portato al grande pubblico dai mezzi d’informazione e dai giornalisti più informati (quelli di “vecchia scuola” diciamo) si sono ignorati, almeno fino ad oggi, degli interessanti fattori emersi con la realizzazione politica dei fenomeni sopra citati, ossia la Brexit e l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti.
Queste due realizzazioni storiche del nuovo contesto socioculturale nel quale viviamo ci devono far riflettere sulle cause e le conseguenze dei fenomeni analizzati, spesso invertiti. Prendiamo per esempio l’idea di “post verità”. Questo è un concetto affatto nuovo e, senza risalire troppo indietro nel tempo, ci ricorda molto l’idea dietro ai Savi di Sion o altre pubblicazioni che trovarono ampia diffusione ad inizio ‘900 per portare l’opinione pubblica verso determinate posizioni che favorivano un disegno politico. E tuttavia il fenomeno della “post verità” non ha un valore in quanto tale, è proprio infatti solo di alcune epoche e non di altre, ma è espressione di un disagio sociale profondo e di un tentativo di ricreare una nuova idea di comunità “dal basso”. Tutta la propaganda che precedette il fascismo, il comunismo e ancor di più il nazismo (addirittura più la propaganda precedente che la realizzazione storica) ci ricorda incredibilmente le posizioni di Donald Trump, talvolta di Nigel Farange e di Marine Le Pen e spesso quelle del Movimento 5 stelle. Chiaramente non si sta parlando dei contenuti e del messaggio politico, anche se qualcuno ha ravvisato delle somiglianze, ma del modo in cui circolano le informazioni e del tentativo di definire una nuova comunità “dal basso” che era proprio delle ideologie vecchie e lo è di quelle nuove, in contrapposizione all’ elite liberale (preideologica prima e post ideologica oggi).
Ora, le votazioni di quest’anno nel mondo anglosassone ci stanno facendo riscoprire un nuovo elemento di questa tendenza sociale, ossia il ritorno di quelle linee di faglia del secolo scorso e che ormai pensavamo superate. Basta prendere i dati alla mano e si possono osservare: l’idea di centro politico (il sistema) contro l’idea di periferia, la città contro la campagna, la borghesia, trasformata e indebolita, contro i “nuovi poveri” che, pur non facendo lavori manuali ed essendo magari mediamente qualificati, si sentono ignorati dalla società e sottovalutati. Il discorso religioso è obiettivamente divenuto oggi più complesso e anche più significativo di una volta, ma si rischia soffermandosi di aprire un lungo capitolo. Aggiungiamo invece una nuova linea di frattura, sempre più evidente, di tipo generazionale tra giovani e meno giovani. Questo tipo di fratture ci fa dubitare di vivere nella famosa era post ideologica: oggi più che mai la politica torna come visione del mondo e chiave di lettura della realtà. Dalla politica in altre parole oggi non si chiede più di risolvere solo dei problemi (più crescita economica, più occupazione, meno diseguaglianze), anche per la sua incapacità cronica a farlo. La richiesta dell’elettorato si sposta invece sull’ interpretazione del mondo che la politica offre e la semplificazione di una società complessa come la nostra, chiedendo quindi di scardinare quella complessità (geopolitica, influenza del potere privato su quello pubblico, ordinamenti sovranazionali, multiculturalismo).
L’idea della società post ideologica e della contrapposizione di una sinistra e una destra liberali che si contendevano lo stesso elettorato è probabilmente sparita definitivamente, a favore di una nuova polarizzazione. Il parallelismo con gli anni ’20-‘30 si ritrova anche nello spostamento a destra, continuo ed inesorabile, del panorama politico: i partiti che ieri erano socialisti ora presentano circa i programmi del centrodestra di 20-25 anni fa, mentre il centrodestra si assottiglia e trasmigra verso posizioni che una volta erano ai limiti del dibattito democratico. Se questo è vero ed in effetti l’occidente in generale e l’Europa in particolare sta rivivendo una situazione politico-sociale già vista allora si può tentare di identificare alcune tendenze che possiamo aspettarci nel prossimo futuro.
Il primo elemento interessante è il binomio rivoluzione/conservazione. Ad un’analisi superficiale i movimenti antisistema, nella loro maggioranza, possono essere considerati di destra, favorendo così un parallelismo tra l’ estrema destra di allora e quella di oggi. Questo paragone porta fortemente fuori strada per diversi motivi. Il principale è che la destra degli anni ’20 non nasce come elemento di rottura, al di là del manto di propaganda, ma di conservazione e reazione. Trova quindi un appoggio molto forte nella stragrande maggioranza della borghesia cittadina e in parte nell’ aristocrazia dell’ Europa dei tempi. La legittimazione dal basso all’ inizio è residuale e si incanala soprattutto tra gli ex reduci, che saranno successivamente il lato più sociale del movimento. E’ quindi una risposta di stabilità nei confronti della vera forza rivoluzionaria dell’ epoca, il comunismo, che minacciava di stravolgere sia i rapporti tra gli individui che tra gli stati. Al contrario i totalitarismi di destra, il fascismo è forse il caso più incredibile, si ponevano all’inizio come garanti della pace europea (e persino della Società della nazioni fino al ’36), nonché dell’ equilibrio preesistente proprio nel rapporto città/campagna, stato e chiesa e centro/periferia.
La realizzazione storica dei totalitarismi di destra in Europa è dunque una risposta di chi, minacciato dalla rivoluzione comunista, vedeva la democrazia come mezzo non più sufficiente per difendere l’ordine costituito. Questa lettura potrebbe portarci alla conclusione che il ruolo della destra, oggi, è in realtà quello della sinistra e del comunismo degli anni ’20. E’ la destra a minacciare gli equilibri europei, tra stati e tra individui, è la destra che trova il consenso di chi è contro il sistema venutosi a creare negli anni ’90, domestico ed internazionale, attingendo quindi soprattutto da chi ha visto più minata la propria posizione dalla crisi economica (esempio, non percettori di reddito fisso) ed è la destra che, come allora fu per il comunismo, guarda ad est. Certo ci sono delle differenze, date sia dal contesto dei singoli Paesi sia da una grande rivoluzione portata dalla società del benessere, ossia il superamento della coscienza di classe inteso non come disponibilità economica ma come ethòs degli individui. Per questa ragione non vedremo, nei programmi dei partiti populisti europei, misure draconiane di redistribuzione del reddito, quanto programmi di spesa pubblica ingente, di inflazione e misure protezioniste. Un programma tuttavia che porta chiaramente a penalizzare il consumo e quindi, tendenzialmente, l’elettorato più liberale, attualmente più conservatore.
Questa tendenza redistributiva verso il basso, tendente a cambiare gli equilibri sociali, è particolarmente evidente in Italia grazie al movimento 5 stelle, fenomeno ibrido interessante perché rappresenta ideologicamente, soprattutto se considerato nella sua prima fase, una sommatoria di elementi propri degli estremi del panorama politico precedente, rappresentando l’esempio più puro di partito rivoluzionario-populista moderno in Europa. Il successo del Movimento si deve a molti fattori, ma per questa analisi sarà sufficiente enfatizzare l’ibridazione di elementi tipici del populismo di destra e di sinistra, fino ad arrivare ad un modello non solo fortemente redistributivo (pensioni d’oro, reddito di cittadinanza, tasse sociali su individui ed imprese) ma anche ad una messa in discussione del sistema internazionale, tipico della destra europea (antiatlantismo, antieuropeismo, richiamo all’ autarchia). Per concludere il paragone tra la situazione attuale e gli anni ’20-‘30 in Europa si devono considerare due importanti fattori, che potrebbero cambiare non solo gli esiti ma anche l’ evoluzione stessa del rapporto tra nuova “rivoluzione” e nuova “conservazione”.
Il primo è il fatto che la società odierna europea non sia abituata alla violenza, e in particolar modo ad una violenza politica. Questo porta il confronto politico e anche i possibili risvolti antidemocratici probabilmente ad un tipo di reazione in ogni caso più subliminale e non fisicamente violenta, né verso l’interno né verso l’esterno. La violenza di oggi non si esprime più attraverso le cariche di cavalleria, dato che in piazza non c’è più nessuno da disperdere. E’ sul web, in particolare, la nuova piazza, che la violenza non fisica trova e può trovare un suo sfogo. Il secondo è il ruolo delle forze armate. Oggi un partito rivoluzionario, mettiamo il 5 stelle in Italia ma pensiamo anche alla Grecia e alla Spagna, può coniugare un piano d’ isolazionismo politico ad uno smantellamento dell’ apparato militare, cassa per reperire i fondi per misure sociali. Ovviamente questo sul lungo periodo espone, specie nel contesto attuale, a delle nuove e gravissime tensioni internazionali, ma sul breve periodo non crea una reazione politica significativa, a differenza che fino ad un passato recente.
Il leaderismo e la perdita di democraticità interna dei patiti politici si spiegano come una reazione, democratica, al bisogno di sicurezza e stabilità crescente, in assenza di una forza originale, di una terza forza potremmo dire, che spinga in tal senso. Se nulla cambierà il riassorbirsi di questi fenomeni (improbabile) o il loro perdurare storico dipenderà principalmente dal fattore internazionale e intraeuropeo e dalla narrativa che i giovani, forza disorientata e finora per la maggior parte silente, sceglieranno come dominante.