A cura di Giorgio La Porta – Gli insulti di Poletti proprio sono la goccia che fa traboccare il vaso.

Eravamo 5 ragazzi il giorno della mia laurea, io ero l’ultimo della compagnia a festeggiare. Pochi mesi dopo eravamo rimasti solo in due. Gli altri tre erano scappati in Germania a lavorare il primo come docente universitario, l’altro come insegnante di teatro e il terzo in una società di telefonia. A Roma siamo rimasti in due. L’altro fa concorsi e si piazza sempre benissimo, ma nel frattempo lavora come avvocato. Lavorare è un parolone visto che uno studio legale che per 12 ore al giorno ti dà 600 euro non è un lavoro ma uno sfruttamento degno delle piantaggioni di caffè di Via Col Vento.

Ho visto tanti, troppi ragazzi in questi anni dover partire con la valigia di cartone come i nostri nonni per andare lontano. Questa Italia non ci vuole più, forse perché non parliamo bengalese e non sappiamo vendere la frutta o forse perché non siamo arrivati con un gommone e non facciamo pena a nessuno.

Sono un giornalista e sono ormai quasi 20 anni che scrivo, ma lo faccio soprattutto per passione, perché dovessi farlo per lavoro morirei di fame.

Se vuoi scrivere puoi farlo gratis, altrimenti pretendi troppo o almeno devi farti dettare la linea da qualcuno.

E allora ti incazzi e ti metti a studiare cose concernenti il tuo lavoro. Passi nottate a inventarti un mestiere, a scrivere, a riaprire vecchi e nuovi libri. Un po’ di mesi e qualche migliaio di persone inizia a leggere i tuoi articoli postati su twitter. In un anno diventano tantissimi, 35 mila follower per la precisione, tanto che Twitter ti dà il bollino blu e certifica il tuo account come fossi un opinion leader.

Nel frattempo una fondazione ti premia per la ricerca nella comunicazione con una cerimonia alla Camera dei Deputati. Ti chiama un’azienda per un contratto e anche lì vedi quella stessa tristezza di tanti ragazzi umiliati in un call center.

Mettere la firma sulla precarietà a vita, non poter comprare una casa perché nessuno ti dà un mutuo ha delle conseguenze che non immaginavo. Le ho viste in questi giorni le file fuori dai centri commerciali. Mi domandavo come fosse possibile che la gente comprasse televisori a 52 pollici a 3 mila euro, iphone 7 o gioielli di Pandora come nulla fosse. Poi ho ripensato a quei ragazzi che hanno una vita da schifo e ho provato a mettermi nei loro panni. Ho capito perché spendono tutto per crearsi l’illusione di qualche secondo nell’aprire un regalo. Non puoi comprare nulla di grande e investire e allora spendi tutto ciò che hai in tasca

Non concepisco un telefono da mille euro e non lo comprerei mai. Penso che sia un pessimo investimento, anche se uso il cellulare almeno 10 ore al giorno.

Una generazione precaria, una massa di gente senza futuro senza speranze, con l’impossibilità di investire. Una generazione che si può controllare meglio, perché senza certezze. Così basterà sollevare qualche pericolo inesistente per poterli far tremare e controllare meglio. Ci hanno provato con le borse 15 giorni fa, domani lo faranno con la sanità dicendovi che non sarà più gratuita o con qualche altro allarme che vi farà tremare.

I miei amici stanno fuori e io stesso non nego che qualche pensiero l’ho fatto. Non voglio abbandonare questa Italia che è per me il fronte della battaglia. Così come non voglio lasciare la mia famiglia, le mie origini, le mie radici profonde in questa terra.

Quando viaggio in Europa amo fermarmi a fare colazione per leggere sull’ipad i nostri giornali. Poi quando ordino il mio cappuccino so che lo posso fare in italiano, tanto nell’80% dei casi il cameriere è un ragazzo o una ragazza italiana. Una persona strappata dalla disperazione dalla mia stessa terra. Anche lì non hanno un futuro e la precarietà è la stessa, ma con gli stipendi si vive meglio.

Oltretutto c’è una cosa che qui manca da tempo: la forza di sognare di costruire qualcosa di nuovo. La nostra libera iniziativa è uccisa dai vincoli di una burocrazia corrotta che fa conoscere le soluzioni solo a chi fa parte di questa o quella mafia.

È così che solo chi ha tanti soldi può investire e arricchirsi sempre di più sullo sfruttamento di una massa indifesa. No, non sto diventando comunista, ci mancherebbe altro. Lo sfruttamento però, lo vedo ogni giorno. Quando vai sugli annunci di lavoro e cercano ragazzi laureati per stare tra i banconi di Ikea mi sale la rabbia. Quando Poste italiane cerca portalettere con votazione di laurea di almeno 102. Quando leggo un annuncio del tipo ‘cerchiamo comunicatori per azienda leader nel settore foundrising’ penso che detta così la cosa sia figa, ma poi l’indomani tanti ragazzi vengano sbattuti in mezzo una strada con foto di negretti con gli occhi lucidi a chiedere elemosina o a vendere pacchetti di adozioni a distanza. Poi qualcuno dovrebbe spiegarmi anche come venga regolato il volontariato in Italia, ma quello è altro argomento.

Stamattina apro twitter per leggere i messaggi dei miei follower e trovo questa frase di Poletti che mi fa saltare i nervi.

Dopo il ciaone di un suo collega del Pd mi trovo ad ascoltare questa intervista e penso che ogni tanto il potere dia alla testa.

Non sto qui a ricordare la sua presenza alla cena con i protagonisti di Mafia Capitale che sarebbe costata la carriera politica a qualsiasi personaggio di una moderna democrazia dell’Europa Occidentale.

Insultare i 100 mila ragazzi che ogni anno scappano per disperazione è qualcosa che mi fa incazzare troppo.

Scappano perché in questo Paese non hanno futuro, perché è il Paese stesso ad essere morto. Un Paese dove una sua collega di Governo non sa nemmeno se sia laureata, se abbia fatto la maturità o almeno la prima comunione ha già il destino segnato.

L’insulto a tanti ragazzi come me che hanno passato intere nottate sui libri a studiare perdendo i capelli o le diottrie agli occhi è anche quell’Alfano Ministro degli Esteri che parla inglese peggio di un disco rotto della De Agostini.

E allora caro Poletti che stai lì a dispetto degli elettori, sappi che noi siamo una folla incazzatissima e che ogni voto che esprimeremo in futuro sarà dato per seppellire i tuoi insulti e la tua arroganza. Lo abbiamo fatto già qualche giorno fa e abbiamo licenziato il tuo capo.

Non veniteci a dire che votiamo con la pancia, perché se siete voi i colti che votano con la testa permettendovi di insultare la disperazione di centinaia di migliaia di ragazzi che scappano, portando con sé la linfa vitale e le energie nuove di questo Paese, allora è meglio votare con la pancia. La vostra testa non ci piace, siete voi che con ci state cacciando a calci nel culo.

Presto vi restituiremo il gesto con la stessa cortesia ma con più vigore.