-di Antonio Pezzopane- Ormai abbiamo imparato a conoscerlo: energico e sempre all’attacco, in questo inizio di 2016 Matteo Renzi non ha deluso le attese con uno dei suoi assalti mediatici questa volta a danno dell’Ue. I più critici hanno subito bollato la querelle tra il Premier e Junker un fuoco di paglia, una carica di cavalleria portata a suon di carta stampata, insomma un colpo sparato “a salve” sulla falsa riga dei tanti provvedimenti e riforme annunciate con clamore ed arrivate spesso zoppe. Questa volta qualcosa di diverso c’è, dapprima abbiamo osservato Bankitalia scambiarsi reciproche accuse molto dure con le Istituzioni Europee a causa delle quattro banche fallite, e c’è voluto Mattarella per tenere unito il fronte italiano dissuadendo il Governo dallo scaricare sull’Istituto di via Nazionale le colpe di questo brutto scivolone. Compattezza tra universo bancario ed Esecutivo che non poteva non essere trovata, come non mai l’Italia affronta in queste settimane due dossier importantissimi: la cura dei miliardi di sofferenze in pancia alle banche e la strategia di deficit sulla legge di Stabilità passata e futura.
Questa coincidenza di interessi tra la finanza pubblica e quella privata spiega la quasi unanimità di giudizio sullo scontro Italia-Ue della grande stampa, un tempo molto critica con l’allora Presidente Silvio Berlusconi ed i suoi tentativi di scalfire l’infausto asse franco-tedesco. Così su un unico tavolo da gioco Matteo Renzi deve riuscire ad ottenere due vittorie: una boccata d’aria fresca per le nostre banche sistemiche e l’approvazione di leggi finanziarie che puntano su maggior deficit per creare crescita economica. Proprio su questo punto il Premier affronta la sua più grande sfida, la sua manovra si fonda su una crescita prevista nel 2016 del 2% per poter sostenere le maggiori spese ma i dati non sono dalla sua (nostra) parte. Dopo la pubblicazione dei dati Istat ed Ocse che prevedono una crescita tra lo 0.9/1% per l’anno corrente il Governo si è visto costretto a rivedere al ribasso le sue stime, una storia già vista in questi tempi di crisi in cui ogni anno sarebbe dovuto essere quello della svolta.
Tutto ciò fa si banalmente che “i conti non tornino” essendo più contenute le entrate fiscali per lo Stato a causa di una minor crescita dell’economia rispetto a quella prevista e quindi alcuni capitoli di spesa risulteranno non più coperti da queste risorse mancanti. Questo scenario metterà il Governo di fronte ad un bivio con strade decisamente strette: diminuire la spesa, improbabile visto il rovinoso fallimento della spending review nonostante fosse in capo al renziano Gutgeld, aumentare le tasse, ipotesi che Renzi scarta con decisione perché anzi come ha annunciato intende tagliarle, o infine fare più deficit. Quest’ultima ipotesi non solo acuirebbe lo scontro con Bruxelles ma significherebbe un vero e proprio duello all’ultimo sangue, per queste prospettive di bilancio una concessione per uno zero virgola non sarebbe che acqua fresca, andrebbe scardinato un intero sistema di rigidità di bilancio con in testa il fiscal compact.
Ammesso che tutto questo riesca a passare in Europa la vera incognita rimane la reazione che avrebbero i mercati azionari e del debito sovrano per un’Italia che torna “spendacciona”. Intendiamoci, la storia ci ha dimostrato che l’austerity è stata un grande abbaglio, ma come per ogni famiglia anche lo Stato deve salvaguardare un certo equilibrio del suo bilancio. Questa ipotesi avrebbe bisogno del supporto di un programma forte di unione fiscale e condivisione dei rischi in UE, percorso lungo e molto tortuoso viste anche le ultime avvisaglie di Berlino.
Certo la vera domanda è: la strategia del Governo fa bene all’Italia? La risposta è ni.
Se consideriamo la maggior flessibilità ottenuta, la volontà di scardinare le rigidità dell’Europa di questi anni di crisi gli sforzi dell’Esecutivo vanno giudicati nel complesso positivamente, ma un percorso di questo tipo assume senso al fine di ridurre gli squilibri nei fondamentali economici del sistema Paese. Le risorse ottenute in questa temporanea finestra erano decisive affinchè l’Italia riuscisse a decapitare i capitoli di fiscalità più frenanti per l’economia. Al contrario l’Iva è in costante crescita e la decontribuzione a seguito del Job Act si andrà esaurendo rapidamente, con questo scenario l’Italia rischia di aver sprecato una grande occasione per rimettersi in moto, non riuscendo a sfruttare a dovere il momento di straordinario caos in Europa. Dovesse tornare rapidamente l’ordine, saremmo costretti a correre rapidamente ai ripari.