– A cura di Giorgio La Porta – Nell’ultima settimana si è scagliato un diluvio universale sul centrodestra italiano. Come in ogni buon diluvio universale, ogni creaturina ha deciso su quale arca salire. L’elezione di Trump che in Italia era sostenuto solo ed esclusivamente da Matteo Salvini e dalla Lega e la bruttissima vicenda fratricida di Padova, hanno diviso ancora di più le fazioni del centrodestra italiano. Da una parte i moderati con Parisi, divisi al loro interno sul si e sul no e dall’altra parte Giorgia Meloni e Matteo Salvini che proprio non vogliono sentir parlare di inciuci e governicchi.
Nell’affollata piazza di Firenze però non erano soli; c’era l’unico governatore di regione di Forza Italia, Giovanni Toti, insieme ad una schiera di deputati e dirigenti azzurri.
Il contrasto tra Parisi e Salvini sembra ormai insanabile, tanto da diventare alternativi l’uno all’altro e non più complementari come bisognerebbe essere in una coalizione che ambisce a governare.
Oggi è intervenuto Berlusconi stesso sottolineando che la Lega è un partito fondamentale per l’esistenza stessa della coalizione e che Parisi non può ambire a un ruolo di leader se ha contrasti con questo partito. Ieri sera c’è stato l’incontro con Toti e deve essere scattato qualcosa per aver scatenato nel leader azzurro questo preavviso a Parisi.
Intanto il contesto cambia e pare che il si non riesca proprio a riprendere quota. I grillini sono compattamente per il no, Lega e Fratelli d’Italia idem, oltre a buona parte dei forzisti e all’ala sinistra del parlamento. Ci sono poi i dissidenti del Pd guidati da D’Alema e organizzazioni storiche come la Cgil e l’Anpi.
La corsa del NO potrebbe poi essere ulteriormente agevolata dall’ondata di malcontento popolare nei confronti del Governo Renzi-Alfano, le enomi difficoltà degli italiani che, a prescindere dalle slide, non vedono miglioramenti nelle loro condizioni economiche quotidiane.
Anche per questo Silvio si prepara al 5 dicembre. Non può restare fuori dalla competizione e si sta impegnando per sostenere il No, anche se il suo partito sembra fin troppo timido e poco impegnato. Qualcuno dalla maggioranza, Alfano, dice che Renzi non dovrebbe dimettersi neanche in caso di sconfitta del si.
Il Ministro degli Interni che parla di scenari futuri alla sconfitta del sì rende l’idea di cosa avvenga in queste ore nei dintorni di Palazzo Chigi.
Appena 10 giorni fa, sondaggi alla mano, Obama iniziò a correre come un turco per la campagna elettorale della Clinton. Evidentemente aveva avuto qualche campanello d’allarme dagli stati chiave. Chissà che anche la stampella governativa non abbia avuto informazioni simili e stia mettendo le mani avanti per continuare anche dopo il referendum.
In questo Salvini è stato chiarissimo: dopo il 4 si torna a votare e non ci saranno governi, governicchi e inciuci degni della Prima Repubblica. I moderati facciano ora la loro scelta di campo.