– a cura di Luca Proietti Scorsoni – Il Papa non vuole sporcarsi le mani con la politica e verrebbe da dire che, in fondo, il pontefice non ha tutti i torti. Abituati, anzi, meglio dire: assuefatti ai giochi di piccolo cabotaggio politico, che la misera realtà ci propina quotidianamente, troveremmo alquanto disdicevole ascoltare il successore di Pietro mentre esprime concetti teologici liofilizzati durante il pastone dei telegiornali. No, grazie: per quanto fattualmente agnostici, abbiamo un tale rispetto per la guida spirituale dei cristiani che non disdegniamo perfino un tocco di aristocratico distacco in quelle cerimonie ieratiche tipiche di Santa Romana Chiesa. Insomma, il papa politicante no e poi non tutti, nemmeno i pontefici, sono abili nell’arte di maneggiare il letame senza impiastricciarsi, per come veniva intesa la politica da La Rochefoucauld. Tuttavia, e perdonate l’elevato tasso di citazionismo presente in questo pezzo, un altro prelato, non meno famoso del nostro, si chiedeva a ragione: “A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?”. Ecco, appunto, bravo Don Milani. Del resto può capitare che la Politica riacquisti la maiuscola quando abbraccia tematiche dall’elevato impatto culturale e, come nel caso delle unioni civili, perfino antropologico. Qui la prassi assume un ampio respiro etico e spirituale e si riversa nella storia: in quella stampigliata sui libri accademici e in quella di ogni singola creatura come lo scrivente e te che leggi. Ebbene, quando si creano tali condizioni il Papa può rimanere silente? Tanto per dire: che cosa sarebbe accaduto se un polacco vestito di bianco, quasi trentanni fa, si fosse eclissato dinnanzi ad un muro crepante, impastato di cemento, sangue e comunismo? Forse che quella non era pratica politica? Il parallelismo, seppur azzardato, ha una certa compatibilità con la contingenza storica attuale. E poi, a proposito di muri: se di politica non vogliamo immischiarci, quel minimo di coerenza imporrebbe una totale adesione a tale intimo precetto. Ed invece hai voglia a dire che il Papa candido è e candido rimarrà: basta un Trump ed una sua proposta programmatica – per quanto non condivisibile da chi scrive – ed ecco che Bergoglio si tramuta da osservatore trascendente a fustigatore dirompente. Il candidato repubblicano non è un buon cristiano. Punto. Ipse dixit. Che poi uno potrebbe anche convenire con tale semi-scomunica, se non fosse per un piccolo particolare. Qualche giorno fa, durante un incontro a Santa Marta, il vescovo di Roma ha pubblicamente elogiato Giorgio Napolitano ed Emma Bonino, ovvero due che nella loro vita non è che abbiano dato prova di particolari comportamenti misericordiosi: difatti il primo è stato uno strenuo alfiere del socialismo reale, in tutte le sue più perverse declinazioni, mentre la seconda ha contributo a far morire più bambini che nemmeno la muraglia cinese riuscirebbe ad emulare certi numeri. Ora, lungi da questo articolo quello di effettuare una minuziosa, oltre che capziosa, disamina di ogni approccio situazionista del pontefice. Però appare del tutto evidente un certo strabismo concettuale a seconda degli interpreti e dei contesti di discussione. È vero, i media ci mettono sicuramente del loro. A tal proposito è giusto ricordare cosa scrissero Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro su un memorabile corsivo pubblicato da Il Foglio qualche anno fa. Di seguito il passaggio in questione: “Con il tempo, la comunicazione di massa ha finito per sostituire definitivamente l’aspetto formale a quello sostanziale, l’apparenza alla verità. E lo ha fatto, in particolare, grazie alle figure retoriche della sineddoche e della metonimia, con le quali si rappresenta una parte per tutto. La velocità sempre più vertiginosa dell’informazione impone di trascurare l’insieme e porta a concentrarsi su alcuni particolari scelti con perizia per dare una lettura del fenomeno complessivo. Sempre più spesso, giornali, tv, siti internet, riassumono i grandi eventi in un dettaglio”. Ergo, i media hanno un elevato potere distorcente per quanto riguarda i fatti e i loro derivati. Ciononostante questo non deve assolutamente deresponsabilizzare i protagonisti delle cronache, i quali, a maggior ragione, devono percepire l’assoluta contezza dei propri gesti e delle proprie parole. È una regola aurea che riguarda qualsiasi interprete principale della società. Si, anche Jorge Mario Bergoglio.