– di Giorgio La Porta – Sono trascorsi 11 anni dalla scomparsa di Oriana Fallaci, ho avuto il tempo di rileggere i suoi libri e mettere le crocette sulle sue profezie, come si fa con la lista della spesa in un supermercato quando si compra il cibo. Piano piano le cose che ha detto si stanno realizzando puntualmente, nell’orrore della sua previsione.
Oriana Fallaci non era una maga e non leggeva le carte, ma aveva girato il mondo, intervistato i grandi della terra e conosceva a perfezione quali premesse fossero alla base di un’invasione islamica. Aveva visto donne libere costrette a mettere il velo. Non ha fatto altro che proiettare quelle condizioni anche nella nostra Europa e arrivare alle stesse conclusioni.
Ha fatto anche di più, ci ha descritto con dovizia di particolari come ci avrebbero invaso e sottomesso e come da perfetti coglioni ci saremmo piegati all’arroganza.
Con la nostra ipocrisia, le nostre incertezze, con quella capacità tutta nostra di iniziare una guerra con un fronte e finirla puntualmente col fronte opposto.
Abbiamo fatto di tutto per non ascoltarla. Abbiamo iniziato a denigrarla e prenderla in giro, poi le abbiamo dato della razzista e a volte anche della fascista, come si fa come ogni persona non allineata ai bempensanti di sinistra.
Poi sono iniziati gli attentati nel cuore della nostra Europa, che lei amava definire Eurabia e allora l’abbiamo tirata fuori dal cassetto e iniziato a leggere le sue parole.
Ricordo che quando era ancora in vita i suoi libri furono messi al bando dalla democraticissima Svizzera e fu tirata fuori una vecchissima legge di due secoli che avrebbe permesso l’arresto di Oriana Fallaci qualora avesse varcato i confini di quello Stato. Cosa c’era di tanto segreto in quel Paese? Ci sono andato proprio una decina di anni fa e ho visto per la prima volta uomini girare in piazza con le proprie 4-5 mogli con il burqa totale. Nè in Italia, né altrove avevo visto questo vestito che pensavo fosse proprio dell’Afganistan, ma presto mi accorsi che i signori erano già arrivati e avevano portato i loro molti soldi nel cuore dell’Europa (pur di non lasciarli in quei paesi a rischio guerra) e iniziavano anche a chiedere di cambiare leggi e arrestare questo o quello scrittore.
Sono trascorsi 11 anni e l’alieno di Oriana, quel cancro che le camminava dentro e che lei paragonava all’invasione che conquistava l’Europa sta andando avanti e sui giornali non possiamo neanche parlarne perché le colonne sono già piene dei fatti di Londra.
Quando ascolto i telegiornali provo a immaginare quali sarebbero le sue reazioni e quali i suoi commenti. Sono perfettamente in linea col suo pensiero e decido di prendere a schiaffi chi legge. Così commento chi vorrebbe fermare la guerra santa con i gessetti colorati di Parigi, con i concerti o con le manifestazioni di piazza. Cose belle, colorate e folkloristiche che non fermano di certo i tagliagole.
Con questo terrorismo che trova terreno fertile dietro l’ipocrisia della pace e dell’integrazione. Puoi integrarti col tuo vicino di casa che suona tutto il giorno il pianoforte, ma non con un qualcuno che vuole cacciarti da casa tua per occuparla. E’ come chiedere agli infoibati di integrarsi con gli infoibatori jugoslavi. Una sonora puttanata.
Quale integrazione è possibile con chi ti vede come un infedele, con chi vede le nostre leggi, la nostra Costituzione come qualcosa di secondario di fronte alla legge del proprio Dio. Quella stessa legge che non riconosce la parità delle donne, che consente i matrimoni multipli o le spose bambine.
Non può vincere il silenzio, non può vincere la paura, non può vincere l’omertà. Il nostro Paese è vittima della mafia e dei silenzi mafiosi e non dobbiamo ripetere gli errori del passato.
E’ per questo che tanto i Je Suis Paris quanto i valori dell’11 settembre devono essere un nuovo modo di affrontare la vita di ogni giorno. Dobbiamo difendere la nostra libertà, il nostro Occidente proprio come facemmo dopo gli attentati dell’11 settembre. Quel giorno fu dichiarata una guerra che ancora oggi non è finita.
Ora che nelle nostre città la situazione pare fuori controllo ci accorgiamo improvvisamente che la malattia annunciata dalla Fallaci improvvisamente si è trasformata in una metastasi.
Siamo tutti a rischio, le nostre città hanno paura e la paura si diffonde nelle nostre chiese, nelle scuole dove si mette un crocifisso o si voglia fare un presepe.
Una religione aggressiva non sente ragioni e non accetta interpretazioni. E così l’arroganza di chi viene qui e mette le regole dettate dal suo Dio davanti alle nostre leggi statali.
Non è uno scandalo se affermo che non abbiamo idea e non abbiamo una mappatura ufficiale delle moschee in Italia, perché nascono come associazioni culturali e sono nascoste nei garage e nelle cantine dei nostri palazzi. E non avendo una mappatura non ci può essere un controllo. Non sapremo mai, insomma, in quanti luoghi si sia festeggiato e brindato per la riuscita degli attentati di Parigi, Bruxelles e Londra.
La reazione dell’Occidente dovrà essere come sempre civile, composta e un po’ snob o trovandoci di fronte ad un atto di guerra sarà il caso che ci comportassimo con delle misure adeguate?
E voglio concludere con questa frase della Cassandra, Oriana Fallaci, perché possa essere un punto di riflessione per tutti voi.
“Tre punti che considero cruciali. Punto uno l’immigrazione. Il Cavallo di Troia che ha penetrato l’Occidente e trasformato l’Europa in ciò che chiamo Eurabia. Punto numero due. Non credo nella fandonia del cosiddetto pluriculturalismo. E ancor meno credo nella falsità chiamata integrazione. Gli immigrati musulmani materializzano così bene l’avvertimento che nel 1974 ci rivolse all’Onu il loro leader algerino Boumedienne. <<Presto irromperemo nell’emisfero nord. E non irromperemo da amici, no. Vi irromperemo per conquistarvi. E vi conquisteremo popolando i vostri territori con i nostri figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria>>. Punto terzo. Soprattutto non credo alla frode dell’Islam moderato. E continuerò a ripetere <<Sveglia Occidente, sveglia, ci hanno dichiarato la guerra, siamo in guerra! E alla guerra bisogna combattere!”