La Storia, maestra di vita comunitaria, c’insegna che per la difesa di una bandiera si può morire, mentre il Sommo Poeta colloca coloro che di una bandiera non si curavano tra gli ignavi, forse ben peggiori delle anime infernali, in quanto gli infingardi non si mettono mai in gioco. Ergo, volendo dar vita ad un parallelo economico, come i prezzi ci forniscono le informazioni su un dato bene, parimenti da una bandiera si evince il succo del suo rimando. Nel caso di Forza Italia l’emblema sta a (o dovrebbe) significare una manciata di concetti quali: centralità dell’individuo, riduzione del perimetro d’azione dello Stato, liberalismo popolare e di massa, conservatorismo mediterraneo, ecc, magari impastati con rimandi al personale vissuto del partito, tipo: pragmatismo imprenditoriale, leaderismo, politica del fare, spirito del ’94, rivoluzione liberale. Pertanto, se viene offuscato il fregio tricolore forzista, poi com’è possibile riconoscere la grammatica culturale del movimento berlusconiano? No, non ci siamo. Invece di ammainare i vessilli è fondamentale che questi vengano onorati, magari mediante il recupero dei valori originali che fecero da lievito alla crescita di Forza Italia e dell’intero centrodestra. Se la bandiera è parte integrante dell’identità partitica (e lo è) cambiarla vuol significare ripiegarsi ad un’appartenenza liquida, tanto per scimmiottare Bauman. Quindi, non ripieghiamo un bel nulla, ma doniamo nuovo splendore ai colori dello stendardo.