– a cura di Luca Proietti Scorsoni – Se la forma è sostanza, allora la bandiera è essenza. Ebbene, con questo motto rabberciato, provo a liquidare l’ipotesi che vede Forza Italia in procinto di cassare il proprio simbolo alle prossime elezioni amministrative. Riversare le proprie frustrazioni sull’emblema del partito, a causa delle percentuali non idilliache sfoggiate nelle ultime competizioni elettorali, è un po’ come prendersela con Romolo e Remo in quanto Roma è in preda al caos. E purtroppo l’idea, alquanto bislacca, è solo l’ultima di una lunga e infausta serie: in tempi non sospetti lo scrivente ricorda uno spietato “j’accuse” nei confronti dell’acronimo del fu Popolo della Libertà, in quanto reo di non suscitare quel minimo di appartenenza e meraviglia che si deve ad un movimento partitico. Insomma, per dirla come quel saggio cinese, qui si vuol speculare sul dito continuando in maniera ostinata ad ignorare Selene. Ora, intendiamoci bene: se l’accantonamento del proprio sigillo è funzionale, nel nostro caso, ad una evoluzione dell’intera area liberal-conservatrice, magari in una prospettiva fusionista – leggasi partito unico –, è un conto. Ma bandire lo stemma per paura di essere riconosciuti non solo è esiziale: è pure da stolti.
La Storia, maestra di vita comunitaria, c’insegna che per la difesa di una bandiera si può morire, mentre il Sommo Poeta colloca coloro che di una bandiera non si curavano tra gli ignavi, forse ben peggiori delle anime infernali, in quanto gli infingardi non si mettono mai in gioco. Ergo, volendo dar vita ad un parallelo economico, come i prezzi ci forniscono le informazioni su un dato bene, parimenti da una bandiera si evince il succo del suo rimando. Nel caso di Forza Italia l’emblema sta a (o dovrebbe) significare una manciata di concetti quali: centralità dell’individuo, riduzione del perimetro d’azione dello Stato, liberalismo popolare e di massa, conservatorismo mediterraneo, ecc, magari impastati con rimandi al personale vissuto del partito, tipo: pragmatismo imprenditoriale, leaderismo, politica del fare, spirito del ’94, rivoluzione liberale. Pertanto, se viene offuscato il fregio tricolore forzista, poi com’è possibile riconoscere la grammatica culturale del movimento berlusconiano? No, non ci siamo. Invece di ammainare i vessilli è fondamentale che questi vengano onorati, magari mediante il recupero dei valori originali che fecero da lievito alla crescita di Forza Italia e dell’intero centrodestra. Se la bandiera è parte integrante dell’identità partitica (e lo è) cambiarla vuol significare ripiegarsi ad un’appartenenza liquida, tanto per scimmiottare Bauman. Quindi, non ripieghiamo un bel nulla, ma doniamo nuovo splendore ai colori dello stendardo.