IL NUOVO NAZIONALISMO TURCO DOPO IL FALLITO GOLPE MILITARE
Piazza Taksim, simbolo delle proteste contro Erdogan, negli ultimi giorni si è trasformata in un tripudio di bandiere rosse con la Mezzaluna e la stella. Il “sultano” Erdogan si è riappropriato di quella piazza dopo il fallito golpe militare del 15 luglio. Una curiosità che fa pensare: i laici kemalisti del CHP hanno sfilato assieme agli “islamisti” dell’AKP. Due partiti che si sono sempre combattuti, ora sfilano insieme per le strade di Istanbul da alleati nel nome della “democrazia” targata Erdogan. Ritratti del fondatore della Turchia moderna Mustafa Kemal Ataturk erano affiancanti da quelli del moderno sultano Recep Tayyip Erdogan – l’antitesi tra i due è conclamata – oggi così vicino ad essere quasi posto alla destra del “padre nobile” dello Stato turco laico e repubblicano.
Laici ed islamici, kemalisti e neo-ottomani, un tempo nemici, sono oggi uniti sotto la leadership politica e morale (il “carisma” weberiano) di Erdogan. Lo sventato golpe militare ha provocato una conseguenza ideologica e culturale non da poco: la comparsa di un nuovo nazionalismo turco. Se le Forze Armate – di cui sono stati epurati gli ufficiali più promettenti e politicamente “scomodi” – avevano rappresentato fino a due venerdì fa l’unica vera istituzione turca, pertanto l’unica con cui i nazionalisti potessero identificarsi, ora è il presidente in carica ad essere il “corpo vivo” della Nazione turca. Erdogan non è più solo il capo dello Stato; egli è ormai l’interprete della volontà nazionale, in quella sorta di sintesi e commistione tra popolo e capo propria dei regimi autoritari di massa.
Ecco quindi che il nuovo nazionalismo turco si identifica innanzitutto con Erdogan, ma “pesca” i suoi miti anche dal calderone neo-ottomano: le pulsioni imperiali della Turchia e l’Islam come collante identitario molto più forte di quello “nazionale”. Con tali caratteristiche questo nuovo nazionalismo turco sembra quasi riportare indietro le lancette del tempo, quando né le Potenze europee né il “modernismo” dei Giovani Turchi avevano intaccato l’ideologia imperiale ottomana. È presto per parlare di crisi irreversibile del kemalismo; sta di fatto però che la repressione di Erdogan ha già inferto colpi mortali a tutte le correnti “moderniste”, da quelle militariste e laiche a quelle islamico-riformiste che fanno riferimento ai gulenisti. L’azione di Erdogan ed il sostegno popolare di cui gode sembrano indicare che non possa esistere una Turchia occidentalizzata con l’Islam ridotto a “fede privata”. Il colpo di Stato fallito non è solo la sconfitta pratica la sconfitta dei militari, ma anche la chiusura di una fase in cui lo “spirito” della Turchia era custodito nelle caserme piuttosto che nelle moschee.
Nelle ore del golpe la cosmopolita Istanbul ha rivelato nuovamente la sua scorza conservatrice; la stessa che spingeva i diplomatici europei di inizio ‘900 a dubitare del successo delle riforme dei Giovani Turchi in una città devota più ad un Sultano “spada dell’Islam” con la sua cerchia di imam che non ad un gruppo di giovani ufficiali ammiratori della Vecchia Europa. Tutti gli interrogativi che le feluche di stanza nell’antica Costantinopoli si ponevano all’alba del XX Secolo sembrano tornati attuali. Sicuramente la Turchia di Erdogan non è più il “malato del Bosforo”, ma il suo cammino per tornare ad essere la “Sublime Porta” deve mettere in allarme più di una cancelleria europea.