E’ evidente che questa festa, essendo innanzitutto una festa cristiana, ha un preciso significato religioso: l’Onnipotente che, davanti all’Uomo che gli chiude in faccia le porte del cuore, decide di entrare dalla finestra. Dio che ama così tanto l’umanità, da non attendere che sia essa ad andargli incontro, ma da farsi lui stesso uomo, anzi di più, bambino. Qui sta il grande privilegio di un cristiano: vedere l’essere più potente dell’universo nell’innocente sorriso di un bimbo. Ma a prescindere dalla sua origine sacra – come se fosse possibile parlarne senza considerare tale origine -, il Natale è divenuto per noi occidentali una festività storica, una tradizione. Qualcosa che ci appartiene in quanto testimonia lo spirito più profondo del nostro essere. E’ una piccola campana nella nostra testa, che precisa, ogni anno, viene a ricordarci col suo suono festoso che tutta la nostra civiltà si fonda sull’idea che l’Uomo non sia semplicemente un’ottusa creatura chiusa nei suoi avari interessi materiali, ma che al contrario sia un essere spirituale unico e irripetibile. E che dunque la vita e la libertà siano strumenti imprescindibili per potersi definire “vivi”. Ci definisce il Natale, raccontandoci chi siamo; ci racconta di come per millenni gli uomini dell’ovest si siano riconosciuti non solo in una certa idea di Uomo, ma anche in una certa idea di convivenza. Il Natale è “l’unico periodo che io conosca, in tutto il lungo calendario di un anno, nel quale gli uomini e le donne sembrano essere d’accordo nello schiudere liberamente i loro cuori serrati e nel pensare alla gente che è al di sotto di loro come se si trattasse realmente di compagni nel viaggio verso la tomba, e non di un’altra razza di creature che viaggia verso altre mete”, fa dire Dickens al nipote di Scrooge in “Ballata di Natale”. Ecco allora che a Natale ci riscopriamo comunità, società, civiltà. Ed allora non è forse in un momento come questo, in cui subiamo un attacco così forte alla nostra identità, che il Natale può rappresentare l’occasione migliore per dire che quest’odio e questa violenza non ci fanno paura? l’occasione migliore per riaffermare che il nostro modo di vivere, il nostro modo di concepire e guardare l’universo, non scomparirà sotto i colpi dei mitra al Bataclan? Forse allora, piuttosto che consegnare presepi nelle scuole assetati di sangue e voti, sarebbe il momento di ritrovarsi a cantare orgogliosamente nelle piazze “Adeste fideles”; forse allora, davanti al nostro cielo stellato, offuscato da qualche nuvola nera, sarebbe il momento di essere pronti, con un gesto potente e profondamente sensato, di rischiarare la notte con le luci di un albero di Natale.