Anche l’emigrazione italiana del XXI Secolo si è però trasformata a fronte di una generale sfiducia nel “sistema paese” di chi decide di fare i bagagli e partire per l’estero. Mentre i nostri emigranti con le “valige di cartone” abbandonavano il Veneto o la Sicilia in cerca di fortuna ai quattro angoli del mondo, stavolta il primo dato che si prende in considerazione è la percezione dell’Italia come una “Nazione fallita”, comunità che non offre possibilità, sbocchi ed alternative. L’Italia gerontocratica, povera, priva di slanci, insomma un Paese senza futuro che nulla offre ai suoi figli e che nulla da loro vuole farsi donare. L’Italia “matrigna” che non merita nemmeno una goccia del sudore della fronte di questa forza lavoro mobile che non si riconosce più nella propria Nazione.
I nuovi emigranti italiani non possono usufruire di programmi d’orientamento ed accompagnamento messi a disposizione dello Stato italiano; all’arrivo nel Paese scelto contano solo le capacità individuali e le richieste del mercato del lavoro, suscettibile di repentini cambiamenti. E’ evidente che l’italiano capace di fare successo all’estero in queste condizioni non abbia poi alcuna intenzione di tornare in Italia. Gli ultimi studi sulla “nuova emigrazione” dimostrano che i principali flussi di persone e capitali dal nostro Paese verso l’estero non siano regolati da accordi bilaterali o multilaterali, ma sono il frutto di una buona dose di “pionierismo” che finisce in definitiva per allentare controlli e tutele da parte di Roma su quei cittadini che scelgono di partire.
Il costante flusso di capitali verso Paesi diversi spinge gli emigranti – ma questo è un fenomeno che non riguarda solo la “diaspora” italiana ma in generale quanti scelgono di vivere e lavorare lontano dal Paese d’origine – a muoversi in direzione di questi flussi generando quel fenomeno chiamato “nomadismo migratorio”. Tale fenomeno provoca sul medio-lungo periodo un processo di “de-italianizzazione” dell’emigrante che diventa uno “sradicato” senza appartenenze.
Abituati a gioire dei successi raggiunti dai nostri connazionali all’estero e solo dopo a chiederci perché tali imprese non siano state portate a termine da italiani in Italia, non ci rendiamo conto del pericolo che per il futuro nostro e dei nostri figli l’emigrazione rappresenta. Una Potenza votata all’espansione politico-economica internazionale, la Cina, è stata in grado di tutelare le proprie comunità d’emigranti con sovvenzioni, suggerimenti, aiuti d’ogni sorta ed è anche per questo che i prodotti cinesi dominano incontrastati sui mercati mondiali, dalla bancarella sotto casa fino agli affollati saloni delle Borse. In Italia nulla di tutto ciò è stato pensato. Nessuno tutela l’emigrante, nessuno difende la sua “italianità”, nessuno lo spinge a fare della propria attività all’estero un piccolo pezzo d’Italia. Insomma, nessuno pensa al rientro in Italia dei lavoratori italiani e dei loro capitali sparsi ai quattro angoli del globo o ad un programma d’espansione economico-commerciale sull’onda dell’emigrazione.
All’inizio del ‘900 il nazionalista Enrico Corradini aveva denunciato i rischi della “de-italianizzazione” delle comunità italiane in Argentina e Tunisia; oggi ci ritroviamo esattamente nella stessa situazione. A fronte della trasformazione forzosa di immigrati in cittadini italiani (lo Ius Soli porta questo di fatto) né il Governo né il Parlamento hanno pensato a come tutelare gli italiani “autoctoni” prima che scelgano di espatriare. Quelle che potrebbero essere le “punte di diamante” di una penetrazione italiana all’estero sembrano essere solo l’emblema della resa incondizionata del nostro Paese al mercato mondiale globalizzato. Chi coraggiosamente resta in Italia rischia di trovarsi disoccupato od a lavorare in un mercato “cinesizzato” (per orari, paghe e prezzi) e chi va via nulla apporta alla madrepatria. Immigrazione ed emigrazione insieme stanno distruggendo il tessuto sociale ed economico italiano. Porre rimedio immediatamente per non soccombere!