A poche ore dal voto abbiamo incontrato Federico Iadicicco, esponente dei movimenti Pro Life e candidato al Senato dal centrodestra contro Emma Bonino.

A cura di Antonio MennilloLa sfida nel suo collegio è veramente avvincente se vista globalmente, si può dire che sia una sfida tra tradizione e conservatorismo contro globalizzazione e libertà. Cosa ne pensa? 
Non esiste una contrapposizione tra libertà e conservatorismo. E’ necessario fare chiarezza perché esistono differenti concezioni di libertà nelle tre principali tradizioni politiche: il socialismo, il liberalismo e il conservatorismo. Per lo statalismo di matrice socialista solo la forza dello Stato può garantire la libertà dei cittadini, come sosteneva per primo Rousseau. Il liberalismo radicale di Emma Bonino invece propone una concezione individualista della libertà, secondo la quale l’individuo è libero in quanto affrancato da ogni legame comunitario. Entrambe queste visioni negano l’esistenza dei corpi sociali intermedi che si frappongono tra il potere dello Stato e l’individuo. Secondo i conservatori, la libertà personale è possibile solo entro il contesto di una pluralità di autorità sociali, quali famiglia, comunità locali, associazioni, ma anche la dimensione dell’impresa. Per il conservatore la vera libertà si esplica solo in una dimensione relazionale e dunque all’interno delle comunità sociali dove la persona nasce, cresce e sviluppa la sua identità. Dunque non è una sfida tra conservazione e libertà ma tra due contrapposte visioni politiche: da un lato la retorica dei diritti civili per colmare il vuoto lasciato dallo sradicamento dell’individuo, dall’altro la consapevolezza che la persona è libera solo nella relazione con il prossimo. Io rappresento politicamente questa seconda impostazione.
Come crede che l’elettorato del 2018 possa dare il proprio voto a lei che rappresenta la tradizione e vive nei valori cristiani?
Si commette un grave errore secondo me se ci si pone in questi termini. La grande novità del cristianesimo, rispetto al mondo greco-romano ma anche a quello islamico di oggi, è proprio la laicità dello Stato. “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. La fede cristiana non è un’ideologia, non nasce da un manifesto di valori o da una tavola di regole ma dall’incontro personale con Gesù Cristo che suscita la conversione dei cuori. Per questo i cristiani sono chiamati a dare testimonianza nella società e quindi anche in politica, partendo certamente sul piano della fede ma esplicitandolo su quello della ragione. Fede e ragione, come ci insegnano il Santo Giovanni Paolo II e il papa emerito Benedetto XVI, sono alleate e l’una indispensabile all’altra. Gli elettori devono valutare i programmi e le storie personali, il Parlamento in questi anni è stato pieno di “cattolici adulti”, che non si sono fatti problemi a votare leggi contrarie alla dottrina sociale della Chiesa. Spero si possa costruire una maggioranza parlamentare di credenti e non credenti, capaci sul piano della ragione di elaborare un progetto politico di lungo termine basato sulla centralità della persona in tutti gli ambiti: rimettere al centro le comunità contro individualismo, ridare forza all’economia reale per sconfiggere la speculazione finanziaria, offrire una rinnovata alleanza tra capitale e lavoro che superi definitivamente la lotta di classe, difendere e valorizzare la dignità della persona contro la deriva nichilista e consumista.
Per quale motivo, secondo lei, c’è la crisi dei valori tradizionali?
Preferisco parlare di crisi antropologica della nostra civiltà, nel senso che investe profondamente l’identità stessa dell’uomo e la sua natura profonda. Negli ultimi due secoli abbiamo assistito ad un progressivo attacco al trinomio Dio,Patria, Famiglia che ha rappresentato il fondamento della vita umana nelle sue tre dimensioni originarie, verticale, orizzontale e interiore. Una volta che viene tolto Dio dall’orizzonte umano, svilita l’appartenenza ad una Patria a causa dell’omologazione globalista e sradicata la persona dai suoi legami naturali con la famiglia d’origine, l’uomo resta solo dinanzi a un potere che non è in alcun modo in grado di contrastare. Nasce così l’individuo consumatore compulsivo e suddito perfetto. L’ultima tappa di questo processo è la maternità surrogata, perché una volta che non sapremo più chi sono i nostri padri e le nostre madri avremo annientato ogni forma di identità personale. Penso comunque che sollecitare il cuore degli uomini a riscoprire la naturale vocazione alle relazioni e al dono di sé possa riattivare la speranza necessaria per un cambio di paradigma sociale ed economico.
Cosa pensa dell’incontro che vi è stato oggi tra Erdogan e il Papa?
Il Santo Padre è a capo del governo della Chiesa universale e giustamente prega e si adopera affinché sia ristabilita la pace in Medio Oriente, in Nord Africa e in tutte quelle aree del mondo destabilizzate dalla guerra. Non a caso ha donato ad Erdogan un medaglione con l’angelo della pace. Centinaia di migliaia di fratelli cristiani sono stati costretti ad abbandonare la propria terra e l’Europa è rimasta in silenzio di fronte a questo dramma, vittima di se stessa e di una grande mistificazione mediatica che ha puntato il dito contro il regime di Assad, facendo il gioco dei gruppi jihadisti. Premesso ciò, il giudizio politico sul Presidente turco non può che essere negativo. Il trattamento riservato agli oppositori politici, torturati e denudati in stato di restrizione della libertà, e la guerra contro i curdi che sono i principali nemici dell’Isis disegnano un quadro preoccupante, che avvalora la tesi di quanti vedono nel progetto di Erdogan un tentativo ambiguo di ristabilire la potenza neo-ottomana in Medio Oriente, tramite un presidenzialismo autoritario di spiccata matrice islamica. Si pone dunque in antitesi con la storia e la tradizione culturale europea: è evidente che la Turchia non possa entrare nell’Unione europea. L’Italia dovrebbe poi farsi promotrice, a livello internazionale, di un grande “piano Marshall per i cristiani d’Oriente” promuovendo la ricostruzione delle città e dei luoghi in cui le comunità cristiane siriane e irachene vogliono tornare a vivere, pur avendo perso tutto a causa dell’Isis.