tricolore– a cura di Nicola Tancredi – Cosa ci rimane della Leopolda 2015? Cosa ci giunge da un evento che ormai da sei anni si declina in un’apoteosi di deferenza? E cosa ci racconta la standing ovation riservata al ministro Boschi all’inizio del suo discorso, nell’apologia leopoldina, nonostante gli ultimi eventi inerenti al decreto salva banche? Cosa avviene ad un’Italia guidata da un governo ormai oligarchico e assolutista, che si definisce, con scelta inquietante, Partito della Nazione? E cosa ci giunge, adesso, di quella notte del 13 novembre 2011, in cui l’elettorato attivo fu tradito? Sia chiaro, nell’etimologia del termine tradire non mi riferisco all’appartenenza politica del dimissionario. Ma al senso intrinseco della democrazia. Perché se da un lato si defenestrava la maggioranza dell’elettorato che si era espressa nelle politiche del 2008, d’altra parte in quella notte di novembre veniva tradito il valore cardine della democrazia e della nostra Costituzione, poi del tutto sopraffatto da una sequela di ben tre governi “tecnici”. E dunque, per rispondere, ci resta la convinzione, e direi il compito, che da tutto ciò debba sorgere una Destra, maiuscola non solo nell’iniziale, capace di rappresentare una limpida e fiduciosa appartenenza al Paese e allo Stato, un onesto e orgoglioso servizio alla Patria. In ogni possibile ambito. Occorre però abbandonare il peccato originale. Quello della Patria “tradita” l’ 8 settembre 1943, con la caduta del regime, l’armistizio e il caos che ne seguì. Perché sappiamo che quella data segnò uno spartiacque, dal quale in sostanza nacquero e poi si consolidarono negli anni della Guerra Fredda, due culture contrapposte: una Destra e una Sinistra, ormai sempre più “cosiddetta” Sinistra: ed è sotto gli occhi di tutti il perché. E’ così accaduto che negli anni, cose un tempo nobili, come l’amor patrio e il patriottismo, siano state additate come retaggi di una minoranza rancorosa, anziché come sentimenti collettivi positivi senza dubbio alcuno e produttivi. L’8 settembre 1943 non è il manifesto di morte di una Patria, né tantomeno il certificato di nascita di un’altra: quella di oggi come la conosciamo. Quella data, come suggerisce Marcello Veneziani, rappresenta la rottura del legame Stato-Nazione, Identità-Istituzione. Il nostro significato di “Patria” dunque non può confinarsi alla storia d’Italia dall’anti-fascismo in poi (e Dio benedica il 2 giugno 1946 e il 22 dicembre 1947!). Ma Patria è la nostra millenaria cultura, sono le nostre peculiari tradizioni che fanno di noi un Popolo unico al mondo, e poi tutto il nostro ambiente antropizzato come il nostro genio (e pure, ahinoi, la nostra sregolatezza) lo hanno voluto nei secoli. Essa é dunque pure l’influsso delle tante dominazioni subite. È Roma Imperiale, il Medioevo, il Rinascimento, il Risorgimento. È il dopoguerra, che a suo modo è divenuto anch’esso, e anzi è stato dall’inizio una dominazione: strisciante, diversamente dalle altre, e pertanto ben più pericolosa. Quale può e deve essere, dunque, il compito della Destra, nell’attualità “leopoldina” che segna ancora e più che mai la rottura di quel nesso di identità? Resta il compito, alla nostra nuova Destra che ora giunge, di esprimere la continuità – ma in chiave moderna e proiettata al futuro – della parte migliore della tradizione nazionale, recuperando la nostra comune identità ormai letteralmente vilipesa dalla dottrina dominante di una Sinistra che nella sua corsa all’egemonia ormai giunge a mortificare e negare la dignità culturale di tutti coloro che non rientrano nella sua sfera, molte volte confutando le idee diverse e contrapposte con la pura e semplice derisione, raramente nella concretezza di fondate argomentazioni, spesso semplicemente ascrivendo l’altrui pensiero difforme, a una preconcetta e nostalgica appartenenza all’iconografia (neppure al pensiero politico!) fascista. Nostro obiettivo dovrà essere allora quello di fornire alle persone, e specie ai giovani, ottimi motivi per trovare (per ritrovare!) un rapporto non solo di fiducia, ma di identificazione con il Paese e le sue molte luci, lavorando costantemente e se occorre – come in molti ambiti occorre – anche duramente per cancellare le ombre e far riemergere uno Stato moderno ed efficiente, pur custode di culture e tradizioni, contro i processi di mondializzazione che vogliono annichilire ogni nostra singolare identità. Uno Stato aperto e attento ai valori comuni e agli interessi di ciascuna delle mille comunità, anche piccolissime, che formano assieme la inimitabile ricchezza del nostro Paese: comunità dunque da tutelare. Uno Stato che abbandoni l’ormai imperante ossequio alle dottrine mondialiste imposte da caste sovranazionali, riconoscendo e accettando le virtù che gli hanno dato origine. E che torni ad abitare, con l’orgoglio e la dignità che derivano dall’onestà e dall’efficienza, in quegli ambienti – specie la Scuola, l’Università, il mondo della Ricerca – in cui si forma la coscienza nazionale e in cui si manifesta con la sovranità. La nostra Destra moderna può e deve dunque agire concretamente, pur nel comune riconoscersi nei temi virtuosi di Famiglia, Nazione, Sovranità, Tradizioni civile e religiose, Libertà, origini cristiane dell’Europa intese in primo luogo come difesa dei deboli e degli oppressi e rispetto del prossimo, Legalità, Meritocrazia, senso e rispetto della Cosa Comune, e cioè dello Stato.