Renzi stringe accordi con Putin ma pochi mesi dopo approva l’invio di truppe in Lettonia, la tensione è tangibile. Sembra trascorso un secolo dagli accordi di Pratica di Mare durante il Governo Berlusconi.
– di Filippo Del Monte – L’Italia schiererà a partire dal 2018 una compagnia di militari in Lettonia nell’ambito della costituzione di una task force internazionale nella repubblica baltica. La missione a guida canadese era stata già decisa nell’ultimo Vertice NATO a Varsavia ed ha la specifica funzione di proteggere il territorio lettone dalle presunte mire russe ma in realtà è anche lo strumento messo in campo dall’Alleanza Atlantica per rispondere alle provocazioni russe degli ultimi mesi.
Dopo il fallimento dei negoziati russo-americani per il cessate il fuoco in Siria e la crisi franco-russa per il veto di Mosca in sede CdS ONU per la creazione di un corridoio umanitario ad Aleppo, la presenza dei militari occidentali in Lettonia è solo l’ultimo atto di quella che gli analisti già chiamano “nuova guerra fredda”. Dal Ministero degli Esteri russo hanno puntualmente fatto sapere che schierare truppe in Lettonia è un’aperta provocazione e che “non è la strada migliore per il dialogo”.
La neutralizzazione della Lettonia è uno dei tasselli fondamentali della strategia neo-imperiale russa. Avere ai propri confini le repubbliche baltiche fortemente ostili e pedine della NATO non garantisce a Mosca quel margine di manovra utile ad avere garanzie alla propria frontiera occidentale. Se il potenziale militare lettone è nei fatti nullo, lo stesso non può dirsi del suo potenziale politico; essere così vicino alla Russia ed al contempo così legato ai meccanismi dell’Alleanza Atlantica fa del governo di Riga una fastidiosa spina nel fianco per Mosca. Qualunque azione politica o dimostrativa-militare russa tra il Golfo di Finlandia ed il Mar Baltico sarebbe interdetta dalla presenza forte della NATO nelle repubbliche baltiche.
A Roma la decisione della NATO di forzare la mano in Lettonia – perché pur essendo stata già decisa a Varsavia la costituzione della task force ha subito da qualche giorno un’improvvisa accelerazione – ha destato sorpresa sia tra le forze d’opposizione che nell’opinione pubblica. E’ risaputa la vicinanza alla politica di Putin – molto spesso senza capirla appieno – della maggioranza della nostra opinione pubblica ed è comprensibile la velata ostilità che serpeggiava ieri verso la decisione del governo Renzi. L’Italia è vista “imbullonata” agli interessi della NATO – e quando si fa parte di un’alleanza è normale – che però contrasterebbero con quelli che sono i reali interessi nazionali italiani, tutti protesi al dialogo costruttivo con Mosca.
Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha difeso la scelta dell’esecutivo dichiarando che l’Italia, facendo parte di un’alleanza, ha degli obblighi da rispettare; aggiungendo poi che il dialogo con i russi è sempre l’obiettivo primario della nostra politica in Europa orientale. Le parole della Pinotti tradiscono tutto il “dramma” politico-diplomatico che si è consumato nelle stanze dei bottoni romane. Il palese contorsionismo dialettico tra “obblighi verso l’Alleanza” e “dialogo come obiettivo primario” dimostra quanto l’Italia sia in difficoltà ad accettare i diktat NATO e quanto nei fatti abbia le mani legate. Il rischio che sia bastato l’annuncio dello schieramento di 140 soldati in Lettonia a far saltare il banco con la Russia – portando al fallimento dell’intenso lavoro diplomatico culminato con il vertice di San Pietroburgo tra Renzi e Putin – è palpabile.
Anche se i nostri militari non metteranno piede in Lettonia fino al 2018, questa scelta rappresenta comunque un ostacolo pesante da rimuovere per i futuri rapporti italo-russi. Chi parla di “guerra” è non incosciente ma semplicemente impreparato sulle più elementari questioni della politica internazionale; non c’è un reale rischio di conflitto armato tra NATO e Russia, ma è in atto un gioco di pesi e contrappesi politico-diplomatici (dove lo schieramento di truppe è a tutti gli effetti uno strumento politico e non militare) dove Roma rischia di restare schiacciata. Rapporti bilaterali rimasti “sospesi” a livelli pre-2014 nonostante la guerra delle sanzioni potrebbero essere compromessi non tanto per la presenza di militari italiani in Lettonia – che a Mosca si aspettavano – bensì per la mancanza del minimo segno di disagio per questa decisione della NATO da parte di Roma.
Il “ponte” tra Italia e Russia era ed è un utilissimo strumento di dialogo tra l’orso russo e l’Europa, strumento da utilizzare anche nei momenti di crisi più accesi. Non a caso tutti i governi italiani, a prescindere dal colore politico, hanno privilegiato il “canale russo” spendendovi le proprie carte migliori. Nonostante l’Italia non abbia mai messo in dubbio la sua appartenenza al campo occidentale-atlantico, è possibile che Matteo Renzi a San Pietroburgo abbia fatto a Vladimir Putin promesse che allo stato attuale non possono essere mantenute. Nell’ex capitale dell’Impero zarista il presidente russo si era esposto particolarmente nei confronti del nostro Paese, fiducia mal riposta vista la scelta “lettone” di Roma.
Non fermandosi ai titoli dei giornali o ad una lettura superficiale, ci si rende conto che l’Italia in tutta la vicenda è un soggetto passivo, privo di capacità decisionale e del minimo margine di manovra. Lo schieramento di soldati NATO in Lettonia non è che l’esecuzione di un ordine impartito dall’alto così come il raffreddamento dei rapporti con la Russia è un effetto collaterale più che una scelta consapevole del nostro governo. C’è il rischio che questo braccio di ferro a cui siamo sostanzialmente estranei possa infliggere qualche colpo anche alla nostra strategia nel Mediterraneo, in fondo lo scacchiere che più ci interessa, causando problemi non indifferenti sia in Nord Africa che nel Levante.