-di Federica Russo e Simone Paris- Dallo scorso anno i giorni antecedenti le festività natalizie rappresentano date fondamentali per l’inaugurazione di strategiche infrastrutture italiane: il 23 dicembre 2015 Matteo Renzi inaugurò la Variante di Valico nel tratto appenninico dell’A1 e avrebbe voluto inaugurare con estremo piacere anche la Salerno-Reggio Calabria, argomento di grande enfasi e di estrema attualità nella decadente narrazione renziana.
Questa pesante incombenza è toccata al nuovo Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni il 22 dicembre 2016, accompagnata da un esultante post del vecchio coinquilino di Palazzo Chigi.
Ma c’è veramente la necessità di gioire per questo evento e di urlare ai quattro venti la propria felicità per un fatto che di così epico non ha veramente nulla?
E’ bene ricordare brevemente la storia della Salerno-Reggio Calabria, un’autostrada per cui sono stati necessari ben 54 anni per il suo “completamento”.
Nel periodo della ricostruzione postbellica, parallelamente alla realizzazione dell’A1, si iniziò a sentire la necessità di un’autostrada che collegasse il resto dell’Italia alla Calabria, regione difficile da raggiungere a causa dei suoi aspri rilievi.
Al contrario dell’Autostrada del Sole, la realizzazione della Salerno Reggio-Calabria non potè usufruire dell’apporto di capitali privati e fu a completo carico dello Stato, che inserì l’opera infrastrutturale all’interno della Legge 729/1961 (la cosiddetta Legge Zaccagnini), assegnando la costruzione e la gestione dell’autostrada all’ANAS, autorizzandola a contrarre debiti fino a 180 miliardi di lire, costo iniziale stimato dell’opera.
I lavori iniziarono nel gennaio 1962 alla presenza del Presidente del Consiglio Amintore Fanfani che promise la realizzazione dell’opera in soli tre (leggasi proprio 3) anni.
Le lavorazioni procedevano lente, ma costanti raggiungendo tra il 1967 e il 1969 Lagonegro, Cosenza e Gioia Tauro per giungere nel 1974 Reggio Calabria. Nel momento del suo completamento la strada era già tecnologicamente arretrata e non più al passo con i tempi: presentava due strette corsie (3,5 metri di larghezza) per senso di marcia, era piena di curve pericolose ed era priva di corsie di emergenza, somigliando più ad una grande strada statale a doppia carreggiata piuttosto che ad un’autostrada fondamentale per lo sviluppo infrastrutturale italiano; il tutto avvenuto con un raddoppio del prezzo iniziale, essendo stati impiegati circa 368 miliardi di lire.
Il primo governo a compiere un atto pratico e non propagandistico per un consistente piano di interventi sulla Salerno-Reggio Calabria fu il secondo governo Craxi con lo stanziamento di 1000 miliardi di lire nel 1987. Negli anni si sono succeduti tantissimi progetti di ampliamento dell’opera infrastrutturale che hanno condotto verso la progressiva cantierizzazione di numerosi tratti per giungere finalmente il 22 dicembre 2016 ad avere tutta l’autostrada a doppia carreggiata dopo 54 anni dall’inizio dei lavori.
Naturalmente, così come spesso accade nella tradizione italiana, l’opera di ammodernamento è stata caratterizzata da diverse infiltrazioni mafiose della ‘Ndrangheta fino a giungere al paradosso di avere un presidio fisso delle Forze dell’Ordine nei cantieri per poter procedere regolarmente con le lavorazioni.
Quest’autostrada è diventata il simbolo delle lentezze nella costruzione di nuove infrastrutture in Italia e una fonte di continue burle e false notizie tanto da far girare, nello stesso giorno dell’inaugurazione, una bufala relativa al crollo di un viadotto lungo il percorso autostradale.
Il ruolo delle infrastrutture in Italia torna alla ribalta di rado e quasi mai per meriti o vanti che il nostro paese può permettersi di mostrare agli occhi del mondo. A quelli degli Emirati Arabi che annunciano di voler porre in essere un progetto inerente alla costruzione di treni capaci di viaggiare alla stessa velocità di un aereo, del Giappone che sorprende con la riparazione di una enorme voragine nel manto stradale in soli sette giorni o che corre con i “treni proiettile” i quali, già da anni, attraversano l’isola con i loro 600 km/h. Ma, ancora, citiamo la Cina che assieme alla Russia si impegna, di nuovo, a costruire uno dei più grandi oleodotti del mondo (ben 940 km di lunghezza), o la Balkan Free Trade Zone che, con la costruzione di autostrade e ferrovie, vuole collegare l’Ue e la Penisola Balcanica permettendo a quelle regioni di cominciare a muovere i primi passi verso una nuova fase del loro ciclo economico.
Insomma parliamo più in generale di Connettività: è questo l’imperativo strettamente legato alla crescita di un paese e brillantemente ce ne parla Parag Khanna.
L’economista indiano, in “Connectography”, spiega come il contesto che ci circonda e in cui operiamo ogni giorno si stia evolvendo verso un Supply Chain World. Esso può essere definito come un ecosistema di produttori, distributori e venditori che trasformano risorse ed idee in beni e servizi creando valore aggiunto.
Questo sistema, a sua volta, si manifesta proprio attraverso le infrastrutture: infrastrutture moderne ed efficienti che riescono a garantire ed agevolare lo scorrere dei flussi di risorse, capitali e persone vincono gli attriti quali distanze, regolamentazioni, confini. La conseguenza chiara e diretta è che esse si pongono come chiave necessaria per aprire la porta dello sviluppo economico. Connettono e un’area ben allacciata a bacini di risorse e capitale, è un’area dotata di una influenza superiore rispetto alle altre. Nel mondo si compete, si corre, si vince e a tutto questo noi assistiamo come inermi spettatori.
Stati quali il Kazakistan e la Mongolia registrano notevoli tassi di crescita in virtù di investimenti nelle infrastrutture, dal canto suo invece l’Italia ricopre le prime pagine dei quotidiani per il tragico incidente ferroviario che lo scorso luglio in Puglia, con lo scontro di due treni su un binario unico, ha causato la morte di uomini, donne e bambini intenti ad andare a scuola o a lavoro tramite quei consueti mezzi di cui noi tutti ci avvaliamo ogni giorno e sui quali, nel 2016 e non nel 1816, la sicurezza del passeggero dovrebbe essere garantita, scontata in ragione dei progressi che si sono saputi mettere in atto nel corso del tempo.
Quindi l’ex Premier Renzi, prima di lasciarsi andare sui social a commenti così pieni di ottimismo, dovrebbe analizzare in maniera più attenta quella che è la vera realtà del nostro paese.