A cura di Matteo Gianola – Succede che in Italia, quando avvengono tragedie come l’ultimo terremoto, si verifichi un vero miracolo di solidarietà, tra iniziative di supporto tramite donazione di sangue, raccolta fondi e raccolta di beni di prima necessità, che coinvolgono buona parte degli abitanti della penisola.
Succede anche che una classe politica, spesso accusata di essere lontana dalla gente, si mobiliti in poche ore per portare supporto concreto alle vittime della furia della natura.
Nonostante questo capita anche che questo o quell’esponente di un partito se ne esca, come un fulmine a ciel sereno con delle proposte estemporanee, sicuramente di elevato appeal mediatico ma che mostrano la consueta forma mentis del tassa e spendi tipica di chi ha governato il Paese negli ultimi decenni.
Non si sottrae a questo l’idea, manifestata inizialmente da Giorgia Meloni e, poi, ripresa da alcuni esponenti di altre forze politiche, dal Movimento 5 Stelle al Partito Democratico per giungere addirittura al Governo stesso di destinare l’ammontare del jackpot del Superenalotto (oggi a circa 128 milioni di euro) alle opere di ricostruzione dei comuni colpiti dal sisma.
Sicuramente l’iniziativa ha una sua giustificazione morale, un suo perché, diciamo, soprattutto nell’ottica di quel socialismo strisciante che permea ogni forza politica del Bel Paese, dalla sinistra alla destra, spesso autodefinitasi, appunto, destra sociale. Il problema vero è che la cosa non può essere accettata poiché sarebbe un vero e proprio atto di spoliazione (di ricchezza) legale, come l’avrebbe definita Frédéric Bastiat.
Il Superenalotto è gestito da una società privata, la Sisal, e già solo per questo la somma non può essere considerata nelle disponibilità dello Stato. Aggiungiamo, poi, che oltre il 53% delle giocate viene già trattenuto come imposta, sulle vincite si paga il 6% di imposte e sui guadagni della società gestore si applicano le imposte reddituali stabilite per legge. In pratica per ogni euro giocato lo Stato incassa circa 55 centesimi, il resto viene redistribuito tra i vincitori, il gestore del punto vendita e la Sisal stessa.
Come si vede la somma del jackpot non ha nulla di “immorale” in quanto si tratta di un importo già pesantemente tassato e accumulatosi nel tempo, in quanto nessuno ha mai azzeccato la sestina di numeri vincente; espropriare questa somma sarebbe oltremodo inopportuno oltre che ingiusto verso tutte quelle persone che hanno pagato per un sogno, rappresentato, appunto, dalla vincita a questo gioco.
Un privato, dei suoi soldi, può farne ciò che vuole anche quando derivassero da una vincita, anche devolverli completamente in beneficenza, così come non è escluso che Sisal, come la maggior parte delle grandi aziende, devolva una parte dei suoi guadagni in liberalità a sostegno di questa o quella causa; lo Stato, per questo, non può permettersi di espropriare fondi che, come in questo caso, potrebbero anche danneggiare il core business di una società, cosa che potrebbe generare grandi danni non solo sulla redditività futura ma anche a livello occupazionale e di indotto se, per una decisione del genere, si verificasse una crisi del settore giochi e scommesse.
Detto questo ci sarebbe un altro punto da tenere in considerazione.
Lo Stato italiano incassa già somme ingenti che avrebbero come causale il supporto alle popolazioni terremotate, attraverso l’accisa applicata ai carburanti.
Tutti sappiamo che benzina e gasolio hanno prezzi estremamente elevati rispetto al resto del mondo, proprio per via fiscale. L’accisa sopranominata comprende delle quote ad hoc per il finanziamento di altre quattro interventi a seguito di eventi sismici devastanti, cioè 0,00516 euro per la ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968, 0,0511 euro per la ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976, 0,0387 euro per la ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980 e 0,02 euro per il decreto “Terremoto” a sostegno della ricostruzione delle zone colpite in Emilia Romagna nel maggio 2012.
In pratica per ogni litro di benzina acquistato il 7.8% medio, cioè 11,5 centesimi circa, sarebbero indirizzati alla ricostruzione delle zone devastate dai terremoti. Queste dovevano essere delle componenti dell’accisa temporanee ma si sa che in Italia nulla sia più permanente del provvisorio e, per questo, finite le emergenze questi importi sono stati resi strutturali nella composizione dell’accisa.
La proposta più rivoluzionaria e più efficiente, quindi, sarebbe quella di destinare i proventi riferiti a queste quattro componenti dell’accisa a sostegno della popolazione e delle opere conseguenti al terremoto degli scorsi giorni, gli importi sarebbero rilevanti e continui, permettendo, così, una migliore programmazione nel tempo delle attività inerenti.
Una volta terminata l’emergenza, poi, una classe politica seria abolirebbe questi capitoli di importa permettendo, così, un abbassamento del costo dell’energia, una sua quasi “normalizzazione” diciamo, che avrebbe un impatto assai positivo sia sulle zone, oggi, devastate dal sisma sia su tutto il sistema Paese, contribuendone al ritorno alla competitività economica, cosa di cui beneficerebbero tutti, dalle aziende alle persone all’Erario stesso per via della crescita del PIL (quindi anche del gettito fiscale) che una ritrovata competitività genererebbe.
Forse, però, questa è una proposta da sognatori allo stato attuale.