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ITALICUM: BALLA LA LEGGE ELETTORALE

 

– a cura di Luisa Iannelli – La legge 6 maggio 2015, n. 52, meglio nota come Italicum, è la nuova legge elettorale italiana entrata in vigore dal luglio 2016 riguardante le modalità di elezione della Camera dei Deputati (il Senato, se vincesse il si al Referendum Costituzionale, non sarebbe più elettivo). Nacque, nel gennaio 2014, da un’intesa politica tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, meglio nota come Patto del Nazareno, che comprendeva un vasto accordo sull’assetto istituzionale della nostra repubblica da realizzarsi nel corso della legislatura definita, all’epoca, costituente.Quante cose sono cambiate da quel 18 gennaio del 2014? Il famoso Patto del Nazareno non c’è più, almeno formalmente; la legge elettorale figlia di quell’accordo ha subito tre letture, diverse modifiche ed è stata approvata, a colpi di fiducia, da un Esecutivo non più “costituente” con le opposizioni che abbandonavano l’aula per protesta e pezzi della minoranza PD che si astenevano dal voto. Dietro questo percorso parlamentare sempre lui, il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, il più feroce sostenitore delle riforme varate dal Governo Renzi, colui che ha premuto, più di ogni altro per l’approvazione in tempi rapidi di una legge elettorale siffatta.

Cosa è cambiato oggi, 12 settembre 2016, da allora? Perché l’Italicum, su cui si è forzato tanto la mano, non è più adatta a rispecchiare le esigenze di governabilità e rappresentanza degli italiani? In questi anni ci hanno detto che era necessario un premio di maggioranza così ampio, in barba agli equilibri costituzionali, per garantire stabilità; ci hanno detto che era necessario un vincitore certo tramite lo strumento del ballottaggio; ci hanno garantito che questo sarebbe stato il sistema migliore perché avrebbe cancellato i “partitini”. Cosa è successo dunque per svegliare, al rientro delle vacanze estive, Re Giorgio e spingere il suo fido Matteo ad aprire alle richieste di modifica di una legge che sembrava perfetta?

I meno maliziosi vociferano del timore di una bocciatura da parte della Consulta della parte relativa al premio di maggioranza e ai capilista bloccati, può darsi, ma non basta. Non basta a spiegare perché Renzi abbia voluto sfiorare finanche la scissione interna per approvare quel testo salvo poi ricredersi nel giro di qualche settimana.

“A pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina” diceva qualcuno che di pensieri sopraffini ha fatto la sua fortuna e, anche in questo caso, potrebbe avere ragione da vendere. Cosa è successo dunque? Ci sono state le amministrative di giugno che, con il sistema del doppio turno hanno penalizzato il Partito Democratico a favore del M5S; ci sono i numeri, non certo rosei, dei sondaggi sul Referendum Costituzionale (quello che fino a qualche mese fa era il Referendum di Ottobre e adesso è diventato di Dicembre); c’è la crisi della luna di miele tra gli elettori e Matteo Renzi amplificata dai dati su economia, crescita, occupazione, tutti caratterizzati da segno negativo.

In questo quadro, quella che era nata come la proiezione ideale per tradurre in seggi i voti e consegnare il Paese ai democratici di Renziana veste (in grado di garantire vicinanza politica a questa linea di governo europeo perpetrata da Napolitano) si è trasformata in un pericoloso boomerang che potrebbe affossare l’ex sindaco di Firenze e tutti i fedelissimi di un certo establishment. Urge, dunque, una soluzione che restituisca a Matteo numeri credibili, ricompatti il PD in vista del Referendum e lasci un margine di manovra all’attuale governo per scongiurare – questo lo dicono loro – il pericolo a cinque stelle. Il rischio che, anche in Italia, si affermi una forza politica contraria all’Europa così come la conosciamo oggi, il pericolo dell’affermarsi dei “populismi” , la necessità di mantenere un interlocutore vicino alle posizioni del governo tedesco e francese, specialmente dopo la Brexit, sono, forse, argomentazioni più verosimili.

La lettura sembra fin troppo chiara se non fosse che reminiscenze universitarie mi ricordavano i criteri che avrebbero dovuto dettare la scelta di un sistema elettorale e, tra quei criteri, non vi sono le proiezioni sulla vittoria futura dei promotori o l’esclusione di una forza politica che cresce nei consensi. Piuttosto che distorcere a piacimento gli esiti elettorali forse sarebbe opporuno chiedersi  cosa fare per recuperare i voti dei cittadini, per ridurre l’aria di antipolitica che trova sfogo nel Movimento o per “aggredire” la vasta area del non voto che, ad oggi, è effettivamente il primo partito italiano e creare così quell’alternativa al renzismo, credibile, seria ed attuabile, nella quale, senza distorsioni di sorta, i cittadini possano riconoscersi.

 

 

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