– A cura di Giovanni Russo – Si, con la sentenza del 21 luglio 2015 l’Europa ha condannato l’Italia per inottemperanza all’obbligo positivo di dare attuazione ai diritti fondamentali alla vita privata e alla vita familiare delle coppie dello stesso sesso. Strasburgo così come la Corte Costituzionale hanno chiesto al Parlamento italiano di disciplinare le unioni omosessuali, lasciando però, ai nostri politici, la libertà di trovare la regolamentazione adeguata. Dalla sentenza del luglio 2015 non si può dedurre una modalità obbligatoria, quindi non è detto che il ddl Cirinnà sia la scelta corretta. Anzi: i parlamentari devono tener conto di una sentenza, sempre della Corte Costituzionale, ma che viene prima, la n. 138 del 2010. È fondamentale: la Corte ha stabilito che “ le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”, richiamandosi all’art. 29 della nostra Costituzione: “ La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Di conseguenza il ddl Cirinnà, così com’è scritto, non rispetta i paletti che la Corte costituzionale ci ha ricordato.
Allora per poter salvaguardare i diritti delle persone omosessuali si potrebbe, ad esempio, garantire i diritti individuali, tutelando le persone che hanno una relazione di tipo sociale stabile, e che meritano di essere apprezzate nei loro profili individuali; rapporti affettivi, umani, che vanno protetti, ma che non può essere equiparata a una famiglia. Sono due cose completamente diverse, mentre, il ddl in discussione regolamenta questi rapporti come se fossero una famiglia, e così vìola la Costituzione. E ricordiamolo: non tutto quello che dice Strasburgo è vincolante. L’Europa tende purtroppo molto spesso a trascurare il principio di sussidiarietà, cerca di rendere uniforme norme e situazioni che sono legittimamente diverse nei singoli Paesi. Sarebbe opportuno che quelle forze politiche che in parlamento sono al lavoro per cercare di ridurre i rimandi agli articoli del codice civile sul matrimonio, cercando di mettere qualche pezza per evitare in seguito censure di carattere costituzionale, pensassero ad un cambiamento radicale delle normative relative alle unioni civili, piuttosto che a cambi nominalistici. Affermando ad esempio, che la legge già ha accolto l’indicazione della Consulta del 2010, nella parte in cui le unioni civili sono chiamate fin da subito “formazioni sociali specifiche”.
Ma a noi, giovani giuristi calati nella giungla legislativa italiana, dal primo giorno di Università, ci hanno insegnato che “in claris non fit interpretatio”, e cioè, che ciò che è palesemente chiaro non ha bisogno di interpretazioni. La legge si può leggere solo in un modo: così com’è scritta equipara le unioni omosessuali alla famiglia, nascondendosi dietro il dito inglese della “stepchild adoption”. Non esiste altro modo di leggerla, a meno che non si voglia raccontare alle gente qualcosa di ingannevole. Si è detto che riconoscere lo status di “famiglia” alle coppie omosessuali, sia il frutto di un’evoluzione dei costumi, della mentalità, di una nuova modernità inarrestabile dei tempi. Ma cosa vuol dire che i tempi sono cambiati? In che modo? Chi lo dice? Se è vero che esiste una modernità che si evolve, è altrettanto vero che esiste anche un’altra modernità nel vasto mondo e nei nostri Paesi. E’ la modernità che abbiamo visto al Family Day, decine di migliaia di persone che hanno testimoniato che i tempi, per loro, non sono cambiati. Una modernità che fa nascere i figli, contrastando la crisi demografica che si sta mangiando l’Europa. Una modernità che crede nel futuro e allo stesso tempo nei legami. Gente comune arrivata per difendere la famiglia naturale, quella descritta nella nostra Costituzione. Bisogna allora dimostrarlo che i tempi sono cambiati, non basta dirlo. Non si può leggere e interpretare la Costituzione in base al periodo storico. Allora se il Parlamento ha la forza di dimostrare che i tempi sono cambiati, abbia il coraggio di modificare la Costituzione perché la ritiene inadeguata al contesto sociale, storico e culturale di oggi; abbiano, i politici, il coraggio di dire che la famiglia non è più un’istituzione naturale ma convenzionale, stipulata attraverso l’accordo tra due persone. Sotto un profilo giuridico, la Costituzione dice una cosa precisa sulla famiglia. Violarla sarebbe come fare un colpo di Stato.
Viene inoltre sollevata la questione che se i bambini crescono bene in una famiglia dove è venuto a mancare il padre o la madre, e dove il coniuge vedovo/a ha un nuovo compagno, perché il bambino non possa crescere bene anche in quest’altra forma di unione, richiamando tale possibilità con la semplice modifica della legge n.184/1983 che disciplina l’affidamento e l’adozione. La realtà è che ci sono tante persone buone, competenti, amorevoli sia etero che omosessuali che possono prendersi cura dei bambini. Non è questo il problema. Ogni bambino ha bisogno prioritariamente di un padre e di una madre per crescere. C’è un’autentica differenza tra avere due “papà” e due “mamme” o avere genitori eterossesuali. La vera parità trova la sua unica sorgente nella coppia genitoriale, solo là è incontestabile. Pretendere di cancellarla, è negare la realtà. Tutti dobbiamo la vita alla partita uomo-donna. È stato Sigmund Freud, autore non propriamente cattolico, a mettere in evidenza gli aspetti fondamentali di un uomo e di una donna che sono trasferiti al bambino. La legge deve regolare situazioni di carattere generale, che valgono per l’intera società. Questa è la posizione di chi guarda la realtà, la storia, la cultura. E non possiamo mettere al centro l’interesse egoistico gay in violazione della convenzione internazionale ONU dei diritti dell’infanzia che richiede di perseguire l’interesse superiore del bambino. Non confondiamo i diritti dei bambini coi diritti sui bambini.
Concludo dicendo che una legge sulle unioni civili si deve senz’altro fare, ma non in modo tout court, è importante che i diritti, siano attribuiti alle persone che formano le coppie, non alla coppia in quanto tale. Sarebbe opportuno considerare gli omosessuali, le persone dico io, nella loro diversità intellettuale, spirituale, politica, in quanto genere umano, e non ridotti semplicemente a pratica sessuale. Si vuol dare veste giuridica non alle persone ma al sesso, che implica necessariamente un certo numero di esigenze come le unioni, e la necessità di avere un bambino. Sono contro l’ipocrisia del politically correct e stanco della superiorità, stupidità aggiungo io, antropologica di chi è a favore di maggiori estensioni di diritti, considerando in modo tranchant, trogloditi tutti coloro che la pensano diversamente. Chi pensa che la nostra sessualità, sia essa eterosessuale o omosessuale, orienti il nostro pensiero e la nostra vita, loro si, e non ho paura a dirlo con chiarezza, sono degli autentici omofobi.