– A cura di Giovanni Russo – Ci sono dei mondi che il Palazzo della Politica fa fatica a vedere, magari sono quei mondi che altri Palazzi, come quelli della Finanza ad esempio, vedono benissimo, perché interessati a sottrarne parte del risparmio. Un mondo come quello degli Agricoltori e Produttori dell’Olio Extra Vergine d’Oliva, che da oggi 1 Luglio 2016 dovranno subire il nuovo Regolamento approvato dalla Plenaria di Strasburgo che permette l’importazione di altre 35.000 tonnellate aggiuntive alle 50.000 gia autorizzate, di olio extravergine d’oliva senza dazi nell’Unione Europea, in particolare dalla Tunisia, per il 2016 e altrettante per il 2017. La stessa Eurocamera che lo scorso 25 febbraio, con l’introduzione di alcune modifiche, aveva rimandato la palla al Consiglio Ue, accendendo le speranze su nuovi negoziati, ha dato il via libera degli Stati membri – inclusa l’Italia – al nuovo testo, accelerando a sorpresa i tempi e spingendo l’Assemblea di Strasburgo a cambiare l’ordine del giorno per l’approvazione finale. Tre le “migliorie” incassate dagli eurodeputati italiani: l’obbligo di tracciabilità del prodotto tunisino, il divieto di proroga oltre i due anni previsti e una valutazione a medio termine dell’esecutivo Ue, per verificare eventuali danni ai produttori europei. Questo provvedimento, hanno spiegato gli eurocrati, risponde alla necessità di sostenere l’economia della Tunisia e garantirne la stabilità della democrazia (l’unica tra i paesi che hanno fatto i conti con la “primavera araba”), indebolita dagli attacchi terroristici dell’Isis. Se fosse coì, sarebbe un gesto “bellissimo”, ma la verità è che quest’anno la Tunisia ha avuto una produzione di Olio ai minimi storici, non è ben chiaro quindi, da dove arriverà l’ Olio che sbarcherà sulle nostre coste e finirà sugli scaffali dei nostri supermercati con la dicitura “Made in Italy”. Infatti gli stessi Tunisini si aspettavano qualcosa di diverso dall’ UE, come ad esempio incentivi sulla produzione interna, c’è infatti una paura che inizia ad emergere, che dietro questo gesto di solidarietà verso la Tunisia, ci sia tutt’altro, un favore verso le potenti Lobby del settore. Oggi Garapelli, Bertolli e Sasso sono tra i più grandi marchi dell’ Olio italiano, tutti e tre sono stati venduti ad una grande industria Spagnola, la “De Oleo”, che un anno fa, è stata acquisita da “CVC”, un fondo finanziario con sede a Londra, grazie alla mediazione di un advisor italiano, Mediobanca, alla fine dei conti sono loro a pagare il dazio che la Commisione Europea chiede di azzerare. Per gli amanti della verità, bisogna aggiungere che le importazioni sarebbero comunque necessarie per colmare un fabbisogno interno insoddisfatto dalla produzione. Infatti, limitando l’analisi all’Italia (ma il discorso non cambia molto se facciamo riferimento all’Ue), c’è da considerare che i consumi interni più le esportazioni (la media degli ultimi anni si aggira intorno alle 800.000 tonnellate), superano nettamente la produzione nazionale (la media degli ultimi anni è sotto le 400.000 tonnellate). Perciò l’incremento approvato, oltre a essere di modesta entità rispetto al fabbisogno complessivo, dovrebbe consentire un leggero risparmio ai consumatori, in quanto il prezzo di importazione diventa mediamente più basso, ovviamente a danno della qualità. Se la questione venisse posta solo in questi termini, può risultare difficile comprendere appieno il clamore suscitato da questa notizia e ancora meno le proteste che arrivano un po’ da tutte le parti, a cominciare dalle organizzazioni dei produttori agricoli, come la Coldiretti, compatte nel prendere posizione verso questo provvedimento, o come quella del Ministro Martina che si è dichiarato contrario all’incremento del contingente di olio tunisino, annunciando controlli più intensi contro le possibili frodi che potrebbero innescarsi.
Ma ci troviamo di fronte a una deriva autarchica oppure i rischi denunciati sono effettivi e l’olivicoltura italiana, già duramente provata negli ultimi tempi da avversità climatiche e burocratiche, ha solo da rimetterci?
Il vero problema, quando si parla di olio di oliva, così come di tutte le eccellenze agroalimentari italiane, è sempre lo stesso e si chiama scarsa tracciabilità, perché non ci sarebbe effettivamente nulla di male nel far entrare sul mercato un prodotto di cui siamo carenti, a patto che questo sia distinguibile chiaramente agli occhi di chi fa la spesa. Se è vero che l’Italia nell’ultimo anno ha esportato una quantità pressappoco uguale a quella prodotta e tenuto conto che una parte consistente di questa produzione viene assorbita dal mercato interno, è lecito ipotizzare che una pari quantità dell’olio importato finisca poi per essere esportata. Ed è abbastanza probabile che chi esporta dall’Italia olio importato da altri paesi, lo faccia con lo scopo di beneficiare indebitamente della buona reputazione del Made in Italy oleario. Il rischio concreto in un anno importante per la ripresa dell’olivicoltura nazionale è il moltiplicarsi di frodi, con gli oli di oliva importati che vengono spesso mescolati con quelli nazionali per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all’estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri, a danno dei produttori italiani e dei consumatori. L’ Olio d’Oliva è un settore strategico del Made in Italy con circa 250 milioni di piante su 1,2 milioni di ettari coltivati, con un fatturato del settore stimato in 2 miliardi di euro e con un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate. Ecco perché l’importazione senza dazi dell’olio tunisino rappresenta un problema, non certo l’unico e comunque non il più grande per gli olivicoltori italiani, fino a quando il mercato è un mare magnum dove l’olio, nei termini di legge, è tutto uguale, e i consumatori non possono scegliere avendo ben chiari tutti i fattori della qualità. Perché è incomprensibile che una filiera come quella olivicola, che in Italia può vantare centinaia di cultivar autoctone, adattatesi a condizioni pedoclimatiche estremamente diverse, non possa fare affidamento sulle peculiarità che ogni territorio, ogni produttore, anche di piccola scala, è in grado di esprimere e raccontare, anche attraverso l’etichetta.