– di FILIPPO DEL MONTE – Un fattore politico (ma anche culturale per certi versi) da tenere a mente quando si parla di Europa è la comparsa di vecchi e nuovi nazionalismi. Innanzitutto bisogna partire da un punto essenziale: il confine tra populismo e nazionalismo è labile ma esiste; dunque si deve distinguere tra partiti o movimenti che siano realmente impegnati nella difesa delle rispettive “identità nazionali” e quelli che sfruttano tali temi solo per arrivare alla prossima scadenza elettorale con la sicurezza di aver intercettato i voti della parte più esasperata dell’opinione pubblica. Per fare un esempio, a grandi linee, il nazionalismo di Fratelli d’Italia è diverso dallo “pseudo-nazionalismo” della Lega Nord nonostante questi due partiti siano considerati entrambi “populisti” dalla stampa italiana. I temi dell’identità nazionale sono l’eredità ideologico-politica della Destra nazionale per FdI mentre sono entrati nel “mondo” leghista solo con la segreteria di Salvini in nome della strategia dello “sfondamento a Sud”.
Fatte le giuste distinzioni è però inevitabile sottolineare che il nazionalismo è ormai tornato in auge nei Paesi dell’Unione europea e questo non tanto per le capacità politiche dei capi di tali forze politiche, quanto per le mancanze della classe dirigente europeista, troppo concentrata a costruire l’unione monetaria trascurando (ed oggi vediamo gli effetti) quella politica. Le crisi politiche ed economiche hanno sempre portato ai partiti nazionalisti i consensi del corpo elettorale, però è anche vero che una volta terminata l’emergenza, queste forze politiche sono tornate a contare poco o nulla nei rispettivi scenari politici. Stavolta è diverso, questa terza ondata nazionalista (dopo quelle di ‘800 e ‘900) si è fusa con le rivendicazioni sociali di una piccola borghesia che si va impoverendo (nel segno di quella che i teorici marxisti di inizio XX Secolo definivano “proletarizzazione della borghesia”) e di un sottoproletariato post-industriale che vorrebbe emergere dalla macelleria sociale della crisi economica continentale.
Questa attenzione particolare per i bisogni quotidiani della popolazione e per le tematiche “sociali” ha permesso ai partiti nazionalisti di superare la dicotomia destra-sinistra pescando consensi ovunque; questo spiega il grande successo del Front National francese, divenuto il partito più votato dagli operai transalpini, o la campagna elettorale di Syriza basata tutta sulla difesa dell’identità nazionale ellenica dall’assalto della Troika e dell’Europa “tedesca”. Il binomio “destra dei valori e sinistra del lavoro” teorizzato dal dirigente (ex comunista) del Front National Alain Soral è diventato quasi un mantra per tutti i partiti ed i movimenti definiti a vario titolo “populisti”. Questa identità di vedute tra partiti di provenienza ideologica profondamente diversa tra loro non deve indurci a pensare ad un’alleanza anti-sistema; il sincretico nazionalismo sociale non archivia né la destra né la sinistra ma aggiunge al calderone politico lo scontro tra Nazione e mondialismo e quello tra identità e cultura dominante/omologante. Non a caso il leader dei nazional-conservatori greci di ANEL, Panos Kammenos, al momento di entrare nel primo governo Tzipras si affrettò a dire che il suo partito, pur essendo alleato di Syriza restava comunque una forza di centrodestra. L’esempio nel nostro Paese potrebbe essere Fratelli d’Italia che pur rimarcando la sua appartenenza al centrodestra (come unica forza realmente di destra) riesce a prendere voti anche a sinistra.
Il consenso che tali partiti ricevono sarà momentaneo o di lungo periodo? Per rispondere a questa domanda occorre tornare alla distinzione inziale fatta tra partiti storicamente nazionalisti e partiti “elettoralmente” nazionalisti. I primi, terminata la crisi contingente, potrebbero resistere al “reflusso” verso le forze politiche più grandi adottando una linea politica moderata che però non arrivi a minare le proprie peculiarità (ad esempio, nell’ambito di una coalizione di centrodestra, essere rappresentanti dell’elettorato attento ai valori nazionali ed ai temi etici); i secondi rischierebbero invece di subire un drastico calo elettorale per aver “cavalcato l’onda” troppo a lungo. Chiaramente i partiti del secondo tipo potrebbero avere più voti nel breve periodo (la Lega Nord è secondo i sondaggi il primo partito del centrodestra italiano) per la capacità di dire “tutto ed il contrario di tutto”, a lungo andare però, tale strategia potrebbe rivelarsi controproducente. Quindi una volta terminata la “crisi” del momento si finirebbe per tornare nel proprio alveo ideologico originario. Per concludere è essenziale, a mio modo di vedere, evidenziare che quando questi partiti riescono ad arrivare al governo (Syriza) e mantengono i toni “alterati” della campagna elettorale non riescono a conservare il potere per lungo tempo. Sul lungo periodo queste forze saranno quindi costrette ad un’inversione “moderata” per trasformarsi in partiti di governo ed abbandonare quindi la fase dell’opposizione permanente.