È qui che è evidente il fallimento dell’Italia come sistema-paese. Mentre paesi come Canada o Australia negli ultimi anni hanno inaugurato campali campagne di assunzioni per laureati italiani, i governi che si sono succeduti o più in generale il sistema politico ha preferito dare maggiore importanza ad un sistema di riforme basate sul “guardiamo al futuro”. Sorge spontanea una semplice domanda: “cosa resterà di queste riforme se il tasso di natalità continuerà a ridursi e ogni anno sempre più giovani lasciano il bel paese? A chi serviranno queste riforme ?”
“i giovani hanno perso interesse nei confronti della politica e non si interessano più della cosa pubblica”. Questa è l’accusa più popolare che negli ultimi anni viene mossa alle nuove generazioni. Chiaramente questa assunzione ha un fondo di verità, ma è necessario indagarsi sul perché si è arrivato a tanto. I partiti politici italiani (se ancora e lecito definirli tali) sono i primi responsabili di questo disastro in quanto è venuta meno una sana e fondante impostazione culturale. Siamo stati il paese che ha dato i natali a filosofi del calibro di Gentile o Gramsci che con i loro scritti contribuivano ad un dibattito culturale ed ideologico. Ora siamo la nazione dove l’intero dibattito politico ruota attorno a slogan post-bellici o banali accuse personali che non hanno alcun carattere politico. Come pretendere di catalizzare in questo modo l’interesse giovanile?
I giovani non si interessano più, in parte è vero, ma la politica non fa nulla per arginare questo preoccupante fenomeno se non favorire una continua fuga in altri lidi. È necessario che qualcosa cambi oppure saremo destinati a perire con l’etichetta di “paese per vecchi”.