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G7 TAORMINA: GENTILONI VUOLE FERMARE L’ISIS CON LA CULTURA

– di Filippo Del Monte – Una Taormina blindata da militari e poliziotti sarà teatro del G7. Tanti sono i temi in agenda per i grandi della terra, dalla lotta al terrorismo all’emergenza immigrazione, così come tanto è il clamore che si sta facendo attorno alla tanto decantata bozza di “patto antiterrirosimo” che Gentiloni vorrebbe presentare ai colleghi durante la riunione. Su La Stampa Marco Zatterin ha riportato alcuni stralci del testo come «il sistema condiviso di leggi e valori, il rispetto dei diritti umani e della diversità culturale, la promozione delle libertà fondamentali sono la prima e migliore protezione contro questa minaccia comune» oppure il passaggio che individua nella “cultura” la migliore arma da opporre al terrorismo perché «incoraggia dialogo e scambi fra le nazioni, risultando alla fine un mezzo straordinario per prevenire la radicalizzazione e l’estremismo violento, particolarmente fra i giovani». Insomma, il testo italiano si presenta come una apologia dei gessetti colorati nel momento stesso in cui i terroristi islamici non hanno avuto remore a fare strage di bambini a Manchester.

Dinanzi alla nuova recrudescenza terroristica dell’ISIS Paolo Gentiloni vorrebbe opporre la fratellanza universale; sembra il grottesco finale d’una tragicommedia e ci spinge ad interrogarci sull’utilità politica del G7 ad oggi. Riunioni blindate dove si decide ben poco, dove mancano attori internazionali fondamentali per risolvere le controversie e dove il copione sembra già scritto: presentare alla stampa un’intesa che in realtà non c’è stata. La sostanza pratica del G7 è però ben poca; è piuttosto un teatrino dove Nazioni come l’Italia possono giocare a fare le grandi Potenze quando non sono in grado nemmeno di garantire la sicurezza dei propri confini. Un Occidente sotto scacco del terrorismo islamico non può permettersi idiozie del genere.

La bozza del patto antiterrorismo di Gentiloni non è la prova della forza culturale occidentale, della sua capacità di superare l’emergenza con il dialogo, è invece la palese dimostrazione – qualora ce ne fosse ancora bisogno – della sua debolezza politica, dei suoi odiosi doppiogiochismi, della sua incapacità di prendere contatto con la realtà dei fatti. Ostinarsi a dichiarare che non esiste nessuna guerra quando il nemico il conflitto te lo ha portato in casa è un gioco pericoloso che l’Occidente, l’Europa e l’Italia potrebbero pagare molto caro nel prossimo futuro.

I rovesci militari subiti dallo Stato Islamico in Siria ed Iraq porteranno a breve alla chiusura della fase “convenzionale” della guerra ed i Paesi occidentali saranno poi costretti a combattere sul fronte interno; obiettivo dichiarato degli strateghi del Califfato è quello di portare la guerra in Europa scatenando il terrore nella popolazione, facendo così crollare il Vecchio Continente. L’attuale forma mentis del cittadino europeo medio non concepisce la guerra come un fatto vicino ed esistono seri dubbi sulla propria capacità di sopportarne le conseguenze anche nel breve periodo. Paradossalmente questo sembrano saperlo a Raqqa e non a Roma, Londra, Parigi o Berlino.

La malattia pacifista europea è forse ormai giunta all’ultimo stadio, quello cronico dell’ebetismo collettivo. Il tramonto dell’Occidente ha i colori dell’arcobaleno ed il suono delle dolci note di Imagine.

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