di Simone Paris – Il 31 ottobre è calato il sipario su Expo 2015. Dopo 184 giorni di ininterrotta attività, si può tracciare un bilancio del grande evento internazionale avuto luogo a Milano. Un bilancio per molti aspetti positivo, come testimoniano il superamento dell’obiettivo iniziale fissato nella vendita di 20 milioni di biglietti per l’accesso al sito e le lunghe fila necessarie per visitare molti padiglioni. Si può fieramente sostenere che l’Expo è stato un vero successo, una grande dimostrazione dell’italica abilità.
Le principali incognite palesatesi, però, nei mesi precedenti l’inaugurazione sono state il ritardo nell’esecuzione dei lavori e la mancanza di un piano di trasformazione dell’intera area per un suo funzionale utilizzo all’indomani della chiusura dell’Expo.
Il primo problema è stato ampiamente superato con un’incredibile accelerazione impressa allo svolgimento dei lavori che si sono sostanzialmente conclusi prima dell’inaugurazione.
La risoluzione del secondo problema è ancora oggi oggetto di discussione e di pianificazione, riguardo soprattutto la destinazione funzionale dell’area.
In questo momento è in atto, all’interno dell’area espositiva, un’opera di smantellamento di alcune delle strutture esistenti. Questa fase dovrebbe concludersi entro maggio 2016.
Però non tutte le strutture verranno abbattute, per esempio, resteranno intatte nell’area espositiva l’Albero della Vita, Palazzo Italia, Padiglione Zero, Cascina Triulza e l’Open Air Theatre; inoltre alcuni padiglioni saranno demoliti ed altri saranno riutilizzati con finalità diverse in nuovi luoghi .
E qui parte spontaneamente il dibattito sulla futura destinazione d’uso dell’area. Sicuramente sarebbe stato meglio pensare a ciò in un momento assolutamente precedente, fin dalla sua progettazione, per evitare questa odierna situazione di incertezza, in cui si rincorrono voci, ipotesi, progetti, ma nessuna soluzione veramente definitiva e risolutiva.
L’unica certezza è il vincolo a verde dell’area, che impone l’obbligo di realizzare cubature in maniera non eccessiva e di lasciarne un’ampia zona destinata a parco. Si è vociferato che vi venga edificato un campus universitario, dove l’Università Statale di Milano dovrebbe trasferire le sue facoltà scientifiche, oppure la costruzione di una cittadella della ricerca e dell’innovazione, con la creazione di un polo di imprese tecnologicamente avanzate, così come suggerito da Assolombarda.
Nei giorni scorsi è arrivata anche la proposta del premier Matteo Renzi, che ha illustrato, in una conferenza stampa al Teatro Piccolo di Milano, il progetto del governo per il dopo Expo.
La proposta governativa consiste nel promuovere un progetto guidato dall’Istituto Italiano di Tecnolgia (Iit) di Genova sul tema “della genomica e dei big data”. Il piano, denominato “Human Technopole. Italy 2040”, vedrà coinvolti anche l’Institute for international Interchange di Torino e la Edmund Mach Foundation di Trento. Stando alle parole del Presidente del Consiglio si andrà a creare “un centro che metta insieme discipline diverse, dall’alimentazione alla robotica allo studio dei genomi del cancro, dove al centro ci sia l’uomo”.
Il progetto verrebbe finanziato dal Governo con 150 milioni annui e a pieno regime porterebbe impiego a 1600 scienziati e ricercatori.
La proposta governativa è ampiamente condivisibile, nel merito della proposta, anche se suscita vari interrogativi e dubbi.
L’Expo deve restare comunque una zona simbolica, emblema del prestigio italiano e del successo della manifestazione; quindi, nella sua conversione devono mantenere chiare queste prerogative e non può essere banalmente trasformato in, così per dire, un anonimo parcheggio di scambio.
La possibilità di istituire un centro di ricerca di respiro internazionale in questa area, soprattutto per le tematiche oggetto di studio, relative alla salute umana, deve essere visto come un buon punto di partenza per poter riportare in Italia tanti cervelli che sono emigrati in università straniere e per dare un definitivo cambio di passo alla già affermata e riconosciuta ricerca italiana.
Però questa proposta va ad interessare una piccola porzione dell’intera area in cui è stato ospitato l’Expo, a causa della relativa ampiezza degli spazi necessari per un polo di ricerca, sicuramente molto inferiori rispetto a quelli di un’esposizione universale.
La proposta governativa dovrebbe essere inserita all’interno di un planning che interessi l’intera area, affinché essa non diventi un non-luogo, una cattedrale nel deserto.
Il progetto renziano potrebbe, per esempio, essere integrato con proposte di varie realtà ed eccellenze accademiche, tecnologiche e sanitarie milanesi per creare un grande polo, che connetta il mondo della ricerca con quello dell’impresa, un’area in diretta continuità con la legacy di Expo che si ponga come frontiera avanzata nel diritto alla nutrizione e nella food security.
Questa che giunge oggi è la vera occasione per portare Milano verso il ruolo di “capitale dell’innovazione e dell’avanguardia”, a cui da tempo aspira.
Adesso si può solo attendere per giudicare se la proposta governativa sia l’ennesima boutade elettorale di Renzi o si abbia veramente una vision politica per trasformare l’area di Expo in un polo che possa segnare positivamente la città milanese.