– a cura di Filippo Del Monte – Massicce ondate di migranti sbarcati sulle nostre coste e le stragi quotidiane nel Mediterraneo stanno mettendo in agitazione il governo Renzi. Fronteggiare efficacemente l’ondata migratoria è diventato un obiettivo di vitale importanza per il nostro Paese. L’ultima proposta italiana arrivata in sede europea è quella di identificare i migranti direttamente in mare, su navi che fungerebbero da hot-spot. In un articolo su AffarInternazionali Fabio Caffio ha evidenziato dettagliatamente quali sarebbero le problematiche giuridiche (ed anche politico-diplomatiche) del caso; in tale eventualità le norme del Diritto internazionale marittimo “lavorerebbero contro” l’Italia trasformando gli hot-spot navali in una riedizione della vituperata Operazione Mare Nostrum. Un’altra problematica che emerge, e su cui è doveroso soffermarsi, è quella legata alla Convenzione di Dublino sui “criteri ed i meccanismi” del diritto d’asilo europeo.
I regolamenti di Dublino servirebbero ad individuare rapidamente il Paese cui dovrebbe essere affidata la richiesta d’asilo: generalmente il primo Stato in cui il richiedente asilo arriva. Questa norma, volta teoricamente a snellire una procedura, si è rivelata un “cappio al collo” per l’Italia in quanto il peso dell’attuale ondata migratoria – economico, umano e politico – sta ricadendo pesantemente sul nostro Paese. E’ innegabile che alcuni Stati europei abbiano approfittato di tali clausole “scaricando” con le loro navi migliaia di migranti sulle nostre coste costringendo forzosamente l’Italia ad essere il Paese d’arrivo e dunque incaricato di identificare chi sbarca e di vagliarne la richiesta d’asilo. Basterebbe solo il caso italiano a rendere palesi le gravi lacune della Convenzione di Dublino, ma i muri eretti dai Paesi balcanici ne sono un’ulteriore prova. Un accordo ideato per unificare le politiche di accoglienza ha finito – nella peggior tradizione targata UE – per dividere ulteriormente questa Europa martoriata eleggendo l’Italia ad agnello sacrificale di turno. Dublino andrebbe rivisto in chiave realmente comunitaria; già nel 2008, cioè in tempi non sospetti, se ne percepì la necessità, figurarsi ora con la Libia ridotta ad un gigantesco porto franco ed il Levante in preda al caos. Certo, una riforma della Convenzione in chiave “comunitaria” sarebbe osteggiata dal blocco franco-tedesco-scandinavo, insensibile alle richieste di Paesi come Italia e Grecia, che “da soli” reggono il peso di una politica di gestione dell’immigrazione deficitaria, anzi, criminalmente orientata verso sud.
L’Italia può essere utile all’UE nella gestione dei flussi migratori così come Bruxelles può essere utile a Roma fornendole strumenti e coperture giuridiche necessarie; si prenda atto di questo e si imponga con forza la discussione del problema dei flussi migratori – che è, bisogna ripeterlo, una questione anche italiana – in sede comunitaria. La gestione dei flussi migratori è strettamente legata alla condotta diplomatica delle Potenze europee in Nord Africa ed in Medio Oriente: fomentare le varie fazioni in Libia non rafforza un governo unitario; continuare ad affrontare la questione siriana con le lenti distorte del dualismo “pro-Assad” ed “anti-Assad” non porterà ad una soluzione in tempi brevi. Da notare che gli attori destabilizzanti in entrambi i casi sono Stati che non hanno interessi diretti a gestire “cooperativamente” i flussi migratori o che sul loro controllo hanno fondato una politica di ricatto nei confronti dell’Unione Europea: Francia, Gran Bretagna e Turchia.
In una situazione del genere è chiaro che Roma non potrà contare sull’appoggio di Londra e Parigi ma dovrà per forza cercare di comprendere se con Grecia, Malta ed Ungheria ci potrebbe essere collaborazione per chiedere le modifiche necessarie alla Convenzione di Dublino così da poter “spalmare” (questa volta veramente) i richiedenti asilo sul territorio comunitario senza trasformare determinate Nazioni in campi profughi. Un rimpatrio coatto di massima – la “ruspa” salviniana per intenderci – è infatti irrealistico. Inoltre va sottolineato come in Italia il dibattito abbia conosciuto solo una fase fortemente “ideologizzata” e polarizzata su due “utopie”: la ruspa di Salvini e l’accoglienza senza freni della strana coppia Boldrini-papa Francesco. La mancanza di criteri pragmatici di analisi e la volontà di declinare la questione secondo i canoni del politicamente corretto hanno condizionato anche l’operato di diplomatici e tecnici italiani in sede europea, costretti a “smussare” sempre le loro proposte arrivando alla prova finale con un’incisività pari allo zero. Sull’immigrazione e su tutte le questioni ad essa connesse, il Paese richiede risposte realistiche e lo fa con la dovuta dose di stanchezza e sfiducia perché sente le istituzioni distanti, perché le vede più impegnate a far quadrare i conti per fare felici i banchieri berlinesi che non a difendere i reali interessi dello Stato.