-a cura di Paolo Mancini- Sulla crescita economica del nostro Paese incide l’eccessiva imposizione fiscale che di fatto costituisce uno degli ostacoli al rilancio: l’introduzione della Flat-tax può essere una soluzione?
I recenti dati ISTAT e le previsioni del Fondo Monetario Internazionale sulla crescita del PIL (+ 0,8 per l’anno 2017) descrivono l’economica italiana in leggera crescita, ma comunque al di sotto della media europea (+ 1,7) ed ancora lontana da una sostanziale ripresa.
Gli sforzi profusi dai Governi negli ultimi anni finalizzati al rilancio dell’economia sono stati notevoli ma è evidente che i risultati conseguiti non sono ancora soddisfacenti, alla luce della comparazione con la situazione degli altri Paesi dell’Eurozona che in condizioni analoghe a quella italiana hanno realizzato crescite maggiori.
Una delle problematiche che sicuramente grava sull’economia italiana impedendone la crescita è l’eccessiva pressione fiscale, con particolare riguardo alle imposte dirette.
A tal proposito interessante è l’analisi della Flat-tax, indicata da alcuni come una delle possibili soluzioni che possa contribuire alla riduzione del carico fiscale e conseguentemente alla crescita della nostra economia: si tratta di un sistema fiscale – con riferimento all’imposizione diretta – proporzionale e non progressivo con aliquota unica per tutti, affiancato da un sistema di deduzioni finalizzato ad agevolare i contribuenti meno abbienti.
L’introduzione della Flat-tax determinerebbe il vantaggio della drastica semplificazione della materia fiscale che nel nostro Paese è complicata al punto tale che anche gli stessi “esperti” (funzionari dell’Amministrazione Finanziaria, ma anche giudicanti e consulenti) fanno fatica a comprenderla e ad assicurare al contribuente la certezza del diritto.
Inoltre – secondo i sostenitori – l’introduzione della “tassa piatta” con una aliquota ragionevole (nella Proposta di Legge n. 3170 alla Camera dei Deputati, l’aliquota di riferimento è individuata nella misura del 15%) comporterebbe un aumento complessivo del gettito fiscale dello Stato per le seguenti ragioni: riduzione dell’evasione fiscale, in quanto il contribuente, piuttosto che correre il rischio di subire le conseguenze pregiudizievoli connesse all’evasione dei tributi e all’accertamento fiscale, sarebbe indotto al versamento di una imposta “non oppressiva e non vessatoria”; crescita dell’economia, atteso che l’imposizione diretta con aliquote più vantaggiose rispetto a quelle attualmente operanti, da un lato indurrebbe gli imprenditori italiani ad esercitare le propria attività in Italia piuttosto che evitare di investire o delocalizzare all’estero (a tal proposito l’esempio più lampante è la Romania, Paese in crescita economica, dove è operante la Flat-tax e in cui le nostre aziende delocalizzano la produzione sottraendoci ricchezza e occupazione), dall’altro potrebbe attrarre investitori stranieri, con la conseguente crescita dell’occupazione.
Tra gli aspetti critici dell’adozione della Flat-tax (fermo restando che va superato con adeguati strumenti normativi lo spettro dell’incostituzionalità in riferimento al principio di progressività affermato dall’art. 53 della Costituzione) spicca il problema della sostenibilità dei conti pubblici: difatti, l’introduzione del sistema di imposizione diretta con aliquota unica comporterebbe nell’immediato la notevole riduzione delle entrate statali con il conseguente rischio di mandare in default il sistema, atteso che si verrebbe a creare una forte sproporzione tra entrate statali e spesa pubblica.
Conclusivamente, per il rilancio dell’economia italiana è necessaria una vera e non generica riduzione del carico fiscale e – perché no – è auspicabile in tal senso l’introduzione della Flat-tax, accompagnata da “austerità moderata”, cioè una molteplicità di misure finalizzate a tagliare la spesa pubblica laddove è possibile, in modo tale da evitare che la riduzione delle tasse spalanchi nei conti dello Stato una voragine greca.