Svalutazione – E’ la parola d’ordine con la quale le autorità cinesi hanno colorato la politica monetaria della Repubblica Popolare. Siamo all’11 Agosto quando a sorpresa viene pilotato il deprezzamento dello Yuan, il maggiore da due decenni, che al termine delle contrattazioni attesta il valore di cambio della moneta cinese a 6.32 nei confronti del dollaro. I commenti più diffusi vogliono questa mossa tesa a fronteggiare i dati deludenti delle esportazioni , in calo dell’8.3% rispetto al Luglio precedente, pilastro dell’economia del gigante asiatico che riceverebbero una nuova boccata di ossigeno beneficiando di una moneta più debole. La sensazione è che l’economia cinese stia esaurendo, o quantomeno veda rallentare, quell’inarrestabile spinta propulsiva che l’ha vista toccare tassi di crescita astronomici se paragonati a quelli dell’Eurozona (+7% atteso nel 2015 contro 1.4% del vecchio continente), tanto da rischiare una fisiologica fuga di capitali (fare investimenti in una valuta che va perdendo di valore vuol dire contrarre il capitale investito).
Cautela – E’ ciò che viene fuori dal settembre della Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti ha scelto, non senza difformità di vedute tra i membri del proprio board, di lasciare i tassi invariati tra lo 0 e lo 0.25%. La Presidente Yellen, prima donna a capo del consesso dei governatori che regge l’istituto, ha visto passare la propria linea di prudenza rispetto alle turbolenze dell’economia globale, tra le quali ascrivere la vicenda cinese. Il taglio dei tassi fu una delle misure con le quali gli USA combatterono, con un graduale successo, la crisi che seguì il crac di Wall Street ; da allora la FED si è sempre impegnata per rifornire l’economia americana di liquidità, una misura straordinaria per sostenere l’economia che non ha ritenuto ancora di dover mandare in soffitta. Contestualmente Jenet Yellen ha reso note le previsioni della FED sull’inflazione il cui obbiettivo del 2% sarà avvicinato solo nel 2017, fenomeno questo spesso avvertito con timore nell’immaginario comune ma al contrario assolutamente necessario. Il controllo di una “naturale” inflazione (appunto intorno al 2%) è uno delle ragioni d’essere delle banche centrali che attraverso la definizione del costo del denaro (i tassi) fanno si che i capitali non perdano rapidamente di valore (con un’inflazione troppo alta) o si assista ad un calo dei prezzi (fenomeno chiamato deflazione).
Rassicurazioni – Sono quelle che oggi (23 Settembre) Mario Draghi ha fornito durante la sua audizione presso la Commissione economica e monetaria del Parlamento europeo. Il Presidente della Banca Centrale Europea dopo aver reso noto che l’inflazione resterà ” vicino allo zero nel breve termine per risalire a fine anno “ nell’eurozona, ha rinfrancato gli investitori (e non solo) sulla possibilità che il Quantitative Easing possa essere esteso oltre Settembre 2016 ed ampliato se necessario. Il QE è lo strumento grazie al quale Mario Draghi ha potuto finalmente contenere la crisi del “debito sovrano” che ha visto Paesi dell’eurozona, tra cui l’Italia, dover pagare forti interessi per poter finanziare i propri deficit fino a quando la Banca di Francoforte non è intervenuta acquistando ingenti quantità di titoli emessi dagli stati; riequilibrando in questo modo la bilancia domanda/offerta sui titoli, gli stati in difficoltà “pagano meno interessi” agli investitori alleggerendo così le criticità di bilancio. Questa come altre dichiarazioni di Draghi fanno capire che l’eurotower terrà ancora per mano l’economia del vecchio continente per un tempo prolungato, decisa a tenere al riparo dalle bufere dell’economia globale la fragile ripresa dell’Europa.