A cura di Francesco Severa – “Donald Trump chiede che ci sia una chiusura totale delle frontiere ai musulmani”. Questa è la frase incriminata, pronunciata in terza persona dal magnate americano in corsa per le primarie repubblicane in vista delle presidenziali 2016, che non solo ha destato lo sdegno e il disgusto dell’intera classe politica statunitense, che – democratica o repubblicana che fosse – ha fatto a gara nel prendere le distanze da quanto dichiarato da Trump, ma ha costretto perfino i leader della vecchia Europa a dover seriamente rispondere ad una palese provocazione. Una sciocchezza rimane pur sempre una sciocchezza; e forse, visto che spesso la politica si trasforma in una deleteria gara a chi la spara più grossa, Trump è semplicemente un vecchio volpone, ben consapevole che, solo sparandola più grossa degli altri, può conquistare una visibilità di cui altrimenti difficilmente potrebbe giovarsi. Eppure vedere nella corsa per le presidenziali del miliardario newyorchese semplicemente un passeggero fenomeno folcloristico è sintomo di una miopia degna del peggior altezzoso ed elitario progressismo. Sono costretto a dire, rischiando di essere additato come uno sporco reazionario, che a me la figura di questo corpulento uomo d’affari fa simpatia. E questo non solo nonostante il fatto che spesso e volentieri mi trovi in disaccordo con lui, ma anche a dispetto, devo dire, di quel suo terribile riporto in avanti, che fa sembrare i suoi capelli vivere di vita propria, quasi siano pronti, volendo imitare le serpi sul capo delle Gorgoni, a ghermire ogni giornalista radical chic che gli si pari davanti. Il motivo della mia simpatia per Trump è lo stesso per cui, benché venga giudicato la peggiore espressione della demagogia conservatrice perfino dai suoi colleghi di partito, ha così grande successo da essere indicato dai sondaggi come il più probabile vincitore delle primarie dello stato dell’Iowa, il primo che si esprimerà nella lunga corsa repubblicana verso la convenzione nazionale del luglio 2016 a Cleveland. Il suo punto di forza è il suo essere populista; una definizione che normalmente siamo abituati a percepire non solo come negativa, ma perfino dispregiativa, perché utilizzata per indicare il politico pronto a dire e a fare le peggiori nefandezze pur di prendere voti, rivolgendosi così alla pancia arrabbiata delle persone e non alla loro ragionevole testa. Ma siamo sicuri che sia veramente così? Vi è al contrario nell’idea di populismo qualcosa di necessario per la democrazia, direi quasi la componente più ideale e romantica di quest’ultima. Democrazia significa aver fede in questa asserzione chestertoniana: “si devono lasciare in mano a uomini comuni le cose di massima importanza, ovvero la scelta dei patner, l’educazione dei giovani, le leggi dello stato”. Concepire la democrazia come “il governo del popolo, dal popolo e per il popolo”, per rubare le parole che Abramo Lincoln pronunciò tenendo a battesimo la nuova America nata dal sangue di Gettysburg, significa pensare che debba esistere una sintonia profonda tra il sentire della gente e la classe politica. Ecco allora il populismo, che combatte con la ruvida forza del buonsenso dell’uomo comune l’ideologia totalitaria delle elite, le quali, con la boria di chi si considera superiore, tentano di stabilire ciò che politicamente può definirsi corretto e giusto e ciò che, al contrario, non lo è. Magari è difficile immaginare in questa veste così idilliaca il miliardario Trump, ma dovremmo forse riflettere sul fatto che quando egli propone di impedire l’ingresso sul territorio degli Stati Uniti d’America agli immigrati di fede islamica, dice sì qualcosa di improponibile innanzitutto giuridicamente, in quanto imporre per legge una così palese discriminazione di natura religiosa violerebbe i principi costituzionali che la libertà di credo difendono, come anche tecnicamente, ma ci richiama ad una verità di cui, in fondo, tutti siamo coscienti, ma che pochi hanno il coraggio di ammettere, proprio in virtù della sistematica opera di delegittimazione pubblica a cui sono sottoposte le persone che osano farlo. L’idea cioè che questo terrorismo che stiamo vivendo ha una matrice religiosa: una concezione distorta di religione, sfruttata politicamente da califfi barbuti con velleità fin troppo politiche ed umane; ma è pur sempre l’islam più radicale ad aver generato la barbarie a cui siamo stati costretti ad assistere impotenti. Allora le parole di Trump diventano per tante persone parole rassicuranti; parole che, per un attimo, ti fanno sentire non un’orribile bestia razzista e insensibile difronte al progresso che sembra marciare con un sinistro ritmo totalitario, ma una semplice persona ragionevole. Il populismo è la misura che colma la profonda distanza che esiste tra una classe politica che si ritiene superiore e autosufficiente e la concreta saggezza di un popolo che non si sente rappresentato, perché innanzitutto non si sente compreso. Esiste dunque una forma sana di populismo, che andrebbe praticata, in particolare nella nostra Italia, che vive un momento storico in cui il deficit democratico dell’Unione Europea, croce oramai generalmente riconosciuta, l’attività spregiudicata e incontrollata dei giudici costituzionali, lo svuotamento delle prerogative parlamentari rendono quasi inevitabile la disaffezione dei cittadini per la politica. E’ chiaro però che il populismo possiede anche un grande limite. A quel suo coraggio di dire, manca spesso il coraggio di offrire soluzioni fattibili. Non manca di pragmatismo il populismo, ma manca di visione. Diviene sterile buon senso se non ispirato da un’ideale forte. E’ per questo che probabilmente Trump alla fine non riuscirà ad andare oltre questo entusiasmo iniziale che sta riuscendo a generare. La mia speranza è però quella di godere ancora un po’ di questo rude americano, mentre è intento ad indignare e scandalizzare qualche verginella moralista senza rispetto fraterno per gli uomini comuni, con la forza e il coraggio delle sue idee oneste, ignoranti e palesemente in errore, ma profondamente sensate, profondamente umane, profondamente del popolo.
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