-a cura di Filippo Del Monte – L’Italia dividerà il mandato biennale come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza ONU con l’Olanda. Alcuni giornali hanno parlato di una vittoria diplomatica italiana ma i fatti smentiscono clamorosamente questa versione: alla vigilia della votazione il nostro Paese era considerato super-favorito, capace di raggiungere il quorum al primo turno; invece ad essere subito eletta è stata la Svezia e Roma si è trovata a giocare un duro “braccio di ferro” con una conta all’ultimo voto contro l’Aja. L’Italia è uno dei primi contributori nelle missioni di peacekeeping, ha lavorato tenacemente per la difesa dei diritti umani ed il contrasto della pena di morte e proposto l’istituzione dei “caschi blu della cultura” dopo le devastazioni targate ISIS a Palmira. Tutto questo non è bastato per garantire all’Italia un seggio in Consiglio di Sicurezza. Ai programmi di Roma sono state preferite l’evanescenza politica della Svezia e la priorità data ai diritti LGBT (che con la sicurezza mondiale non hanno nulla a che fare) della diplomazia olandese.
Per evitare la vergogna della sconfitta Renzi è stato costretto a trattare con il suo omologo olandese a margine del Consiglio europeo di Bruxelles strappando uno striminzito “turn over” del seggio in Consiglio di Sicurezza. La conclusione della vicenda fa rabbia perché entrare in Consiglio di Sicurezza – a maggior ragione ora che il Mediterraneo è tornato al centro delle dinamiche politiche e militari internazionali – era un obiettivo strategico per l’Italia. Sedere al CdS con un mandato dimezzato equivale a non esserci entrati per nulla. La candidatura italiana era stata preparata con cura fin dal 2009 – titolare del dicastero degli Esteri era Franco Frattini – con una serie di intricate geometrie il cui disegno è stato proseguito poi da Terzi di Sant’Agata, Mogherini e Gentiloni. Dunque portare l’Italia in Consiglio di Sicurezza era un progetto del centrodestra condiviso però – come giustamente si fa per le questioni importanti della Politica estera – anche dal centrosinistra.
Nei corridoi del Palazzo di vetro si vocifera che i voti per l’Italia siano mancati dall’Europa e dall’Asia, mentre i Paesi africani – particolarmente interessati ai progetti per la cooperazione presentati da Roma – siano stati i “grandi sponsor” della nostra candidatura. Se così fosse l’Europa avrebbe dimostrato ancora una volta di avere una forte propensione “nordista” e di infischiarsene apertamente dei problemi mediterranei. Inoltre la strana teoria secondo cui la “staffetta” Italia-Olanda costituirebbe l’embrione di un seggio europeo non ha alcun senso: con seggi permanenti occupati da Francia e Gran Bretagna che senso avrebbe un ulteriore seggio “comunitario”? La critica italiana all’attuale composizione del CdS – basata su equilibri ormai superati – dovrebbe essere rivolta anche a quanti nell’UE vorrebbero l’istituzione di un seggio comunitario o la Germania come membro permanente, senza però mettere in discussione la presenza di Londra e Parigi. E’ particolarmente spiacevole, ma al contempo interessante, vedere come molti giornalisti italiani abbiano aggiunto alle “palme” di questa (inesistente) vittoria italiana l’istituzione di questo presunto seggio europeo.
Tuttavia all’euforia giornalistica si sono affiancate anche le dure reazioni di molti degli addetti ai lavori, specie di quanti hanno nel corso degli anni fortemente voluto la candidatura italiana al CdS. Le critiche rivolte contro l’Assemblea Generale ed i suoi “franchi tiratori” per quello che a tutti gli effetti è stato un siluramento dell’Italia sono arrivate sia da Frattini che da Terzi di Sant’Agata ma da due prospettive differenti. Mentre Franco Frattini – ora presidente della SIOI – ha parlato di “miopia” dell’Assemblea Generale rimarcando il contributo italiano alle attività ONU e la centralità del Mediterraneo, Giulio Terzi di Sant’Agata ha puntato la lente d’ingrandimento anche su una Politica estera italiana giudicata “fuori asse”. Secondo l’ambasciatore ed ex ministro degli Esteri, il distacco di Roma da alcune prerogative storiche della sua azione internazionale non ci avrebbe permesso di ottenere i voti necessari per raggiungere il quorum.
Certamente da parte italiana sono stati commessi degli errori e – oltrepassando il “velo di maya” dei successi annunciati – bisognerà riflettere su quali siano le posizioni da correggere. Però è giusto anche sottolineare come questo non sia il primo “tiro mancino” dell’Assemblea Generale ai danni dell’Italia e che a Roma non sia mai riconosciuto il grande lavoro svolto e che continua a svolgere. E’ quasi doveroso chiudere con due domande per i nostri lettori: è giusto che l’Italia contribuisca al lavoro dell’ONU senza che le venga riconosciuto? Non sarebbe forse ora di iniziare a reagire rivedendo il nostro contributo finanziario e militare alle Nazioni Unite?