76 anni fa la Democrazia Cristiana di Alcide de Gasperi vinceva le elezioni politiche del post fascismo e schierava l’Italia con gli Stati Uniti, fermando ogni ambizione sovietica sul nostro Paese. Oggi dovrebbe essere un giorno di festa, ma quando perdono i comunisti è proibito festeggiare.
A cura di Giorgio La Porta – 7 di mattina, accendo il pc. Guardo il calendario e leggo 18 aprile. In meno di tre secondi la mia mente vola a quel 18 aprile 1948, il giorno della scelta di campo che cambiò definitivamente la storia del nostro Paese. Il giorno delle forze democratiche guidate da De Gasperi che lottarono fino all’ultimo voto contro il fronte popolare dei socialisti e comunisti. Ricordo quei volantini satirici che raffiguravano Garibaldi, ma che visti al contrario avrebbero raffigurato l’immagine di Marx. Ricordo mia nonna che mi raccontò che quelle elezioni furono partecipatissime e lei per la prima volta poté votare e sostenere Alcide De Gasperi.
Fu lui il protagonista indiscusso di quell’epoca. In lista anche un giovanissimo Giulio Andreotti.
Nella mia testa appaiono magicamente immagini in bianco e nero di folle in piazza, di strade piene di manifesti e volantini, di comizi partecipatissimi. Sorrido pensando ai comizi di Totò nel film ‘gli onorevoli’ e penso che quella voglia della gente di scrivere la storia fosse una priorità assoluta.
Si usciva dalla dittatura e a pochi chilometri da noi un regime comunista spietato minacciava l’Europa. Ogni voto era determinante per fermare quell’invasione. Nessuno rinunciava a votare dopo 20 anni di fascismo, quando le ferite delle foibe e dei massacri erano ancora sanguinanti.
Vinse così Alcide De Gasperi, un grande premier democristiano capace di dire no al Papa e alla Chiesa. Fu uno statista che insegnò a tutti cosa fosse la laicità dello Stato. Essere cattolici non doveva voler dire essere bigotti, ma ragionare da uomini delle istituzioni con dei valori precisi, ma pur sempre amministratori di tutta la collettività, cristiana e non.
Ricordo la vicenda delle elezioni delle elezioni romane del 1952 con Papa Pio XII. De Gasperi sarebbe stato disponibile ad obbedire al Pontefice dimettendosi da capo del partito cattolico, nella veste di responsabile politico, però, non fu disposto a piegarsi alle direttive politiche del Vaticano. Dal momento della sconfitta dell’ipotesi del listone di destra per Roma, Pio XII rifiutò al presidente del Consiglio qualsiasi udienza in Vaticano. Di fronte a questa presa di posizione il leader della Dc disse testuali parole che rappresentano ancora oggi una grande testimonianza del valore della laicità: “Come cristiano accetto l’umiliazione benché non sappia come giustificarla; come presidente del Consiglio italiano e ministro degli Esteri, la dignità e l’autorità che rappresento e dalla quale non mi posso spogliare anche nei rapporti privati, m’impone di esprimere lo stupore…”. Tutto ciò per spiegare come con coraggio, anche nella storia ci siano stati esempi di forti contrasti nei rapporti tra Stato e Chiesa e come questi abbiano dato un forte contributo nell’evolversi del nostro sistema politico.
76 anni dopo quel coraggio e quella lungimiranza politica sono ancora un modello e una speranza per la politica moderna.