– di Filippo Del Monte – La crisi del centrodestra italiano è senza dubbio politica, legata alle divisioni ed alle faide interne ai partiti, ai risultati elettorali non entusiasmanti e ad un ricambio generazionale che non c’è stato. Tuttavia si sbaglierebbe a pensare che tutto questo debba essere ricondotto esclusivamente nella sfera della politica “spicciola” dimenticando che la crisi di un’intera galassia è prima di tutto culturale. L’ annus horribilis 2011 oltre a segnare la sconfitta definitiva del centrodestra a trazione berlusconiana e del sogno della “rivoluzione liberale” ha anche segnato il passo dal punto di vista culturale. Questo anche per colpa di chi, più a destra, è stato incapace di innestare la rivoluzione culturale ove era stata avviata una rivoluzione politico-sociale. L’appiattimento culturale dell’ultima AN ed i cervelli all’ammasso del successivo PDL hanno fatto piazza pulita di un importante patrimonio politico e meta-politico.
Come giustamente ha notato Marcello Veneziani nessuno a destra si aspettava da Berlusconi una trasformazione culturale profonda degli italiani, l’ex Cavaliere è stato solo un “impresario politico” ma alle sue spalle non ha certo avuto menti sopraffine in grado di “disegnare programmi e contenuti politici”, cioè di dare uno sbocco pratico alle elaborazioni teoriche più innovative del mondo ex missino. I governi di Berlusconi non hanno lasciato segni tangibili del loro passaggio e, dopo qualche anno di attesa e riflessione, si può ben dire che il centrodestra abbia perso la sua battaglia culturale contro il centrosinistra dimostrandosi incapace di smontare pezzo per pezzo il gigantesco teatrino ideologico montato dagli eredi di Gramsci sull’onda della teoria dell’egemonia.
Il PDL – questo gli va riconosciuto – fu una straordinaria macchina da guerra elettorale ma un inconsistente laboratorio culturale, dove gli slogan ed il successo facile hanno fagocitato con sconcertante facilità la weltanschauung delle destre italiane. I partiti che oggi occupano lo spazio che fu del PDL non hanno di certo invertito la rotta e proseguono lungo questi funesti sentieri. Il paradosso spunta fuori in tutta la sua drammaticità se solo si pensa al fatto che i valori profondi riconducibili al panorama conservatore sono maggioritari tra la popolazione ma che questa destra è incapace di farsi comprendere. Si fa fatica a perché al momento della vittoria il centrodestra decise di abbandonare la declinazione politica di questi valori presentandosi come l’anticultura elevata a sistema di governo, quasi come la negazione della politica stessa. Quanti a destra ancora si interessano di problemi culturali sono concordi nell’affermare che allo stato attuale risulta quasi impossibile tornare a dire la propria ed affrontare una serie revisione dei contenuti teorici; e proprio ora che ce ne sarebbe un disperato bisogno.
La battaglia storica della destra culturale – quella di contrastare l’egemonia di una sinistra “accademica” ed ingessata – oggi viene combattuta dai grillini con l’arma dell’anticultura e non c’è da stupirsi che il M5S stia facendo proseliti tra l’acefala massa chiamata “popolo italiano”. Forse la vecchia cultura “non conforme” ha commesso il doppio errore di restare ancorata ad un passato ormai morto – interpretando la tradizione come pura conservazione e non come perenne trasmissione di valori declinati in base ai tempi – e di essersi nel frattempo piegata al politicamente corretto. Tutto questo quando la migliore qualità della cultura di destra è stata quella di non essersi mai piegata ai diktat provenienti dall’esterno, figuriamoci a quelli di matrice “illuminata” della sinistra tutta champagne e bandiere arcobaleno.
Sparute pattuglie di coraggiosi combattono quotidianamente la loro battaglia contro la “cultura” omologante e globalizzata ma sono destinate a perire se dalla destra politica non arriveranno sostegno e risorse. Manca una vivace discussione interna accompagnata da iniziative editoriali di ampio respiro, manca la volontà di invertire la rotta entrando nelle università e nei centri studi, manca la volontà di costruire una classe dirigente formata in vere scuole quadri preferendo invece gli innocui lanciatori di coriandoli e sbandieratori incravattati che negli ultimi anni hanno popolato le nostre organizzazioni giovanili.
Tutto questo potrebbe essere fatto, a patto di spingere tutta una generazione a ritirarsi dalla scena. Bisognerebbe essere disposti a parlare chiaro alle persone, a rischio di perdere, ma con la certezza di star progettando lenti che, inforcate, permetteranno al centrodestra (lo ripetiamo, non quello di adesso) di tornare a vincere perché le sfide del futuro saranno comprese prima ancora di affrontarle. E’ vero, una battaglia importante è stata persa, ma oggi si deve combattere una battaglia di retroguardia, una battaglia in difesa dei valori non negoziabili, una battaglia che è prima di tutto scontro culturale e solo dopo politico in senso stretto. Se il centrodestra sarà capace di vincere questa battaglia allora tornerà in lizza per trionfare anche nella “guerra delle idee”.