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REFERENDUM: LIMITI ED INCOGNITE DELLA RIFORMA COSTITUZIONALE

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– A cura di Paolo Mancini – Il prossimo 4 dicembre si voterà per il referendum con il quale gli elettori italiani decideranno se approvare o respingere la riforma della Costituzione proposta dal Governo Renzi ed approvata dal Parlamento. La riforma costituzionale interviene su alcuni aspetti fondamentali del nostro ordinamento determinando una serie di effetti rilevanti tra cui spicca il superamento del bicameralismo paritario con conseguente modifica del procedimento legislativo e dei poteri e composizione del Senato, riforma del titolo V (che si manifesta principalmente nella revisione del rapporto tra Stato e Regioni), soppressione del CNEL, con lo scopo complessivo di semplificare e migliorare il nostro sistema ordinamentale.L’obiettivo cui mira il progetto di riforma appare “astrattamente” condivisibile, atteso che ogni cittadino aspira ad uno Stato quanto più efficiente possibile, ed in questi termini se la riforma realizzasse i miglioramenti tanto decantati sarebbe da appoggiare senza alcun dubbio. Tuttavia, la domanda su cui è opportuno che l’elettore rifletta nella valutazione sulla preferenza da esprimere è la seguente: il progetto di riforma costituzionale oggetto di referendum concretamente produrrà vantaggi per l’ordinamento italiano oppure le modifiche incideranno negativamente in termini di governabilità?A mio avviso la riforma pur presentando delle modifiche condivisibili (ad esempio la modifica del titolo V, che disciplina in maniera più precisa la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, ma che comunque presenta criticità alla luce dell’impari trattamento riservato alle cinque Regioni a statuto speciale, le quali vengono salvate dalla “stretta statalista” con una disposizione transitoria che rinvia l’applicazione della riforma al giorno in cui le Regioni a statuto speciale lo chiederanno previa revisione dei propri più vantaggiosi statuti, e quindi presumibilmente mai!) nel complesso non è soddisfacente. Data la molteplicità di aspetti su cui interviene il progetto di riforma e l’impossibilità di un’analisi complessiva in un unico articolo, nella riflessione odierna mi limiterò ad analizzare l’aspetto che, a mio avviso, costituisce uno dei punti più deboli della riforma: la disciplina e composizione del nuovo Senato. Il nuovo Senato della Repubblica costituirà l’organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali nel Parlamento, i cui membri saranno eletti non direttamente bensì con un’elezione di secondo grado dalle modalità tutt’oggi ancora indefinite: sarà composto da 100 senatori di cui 74 scelti tra consiglieri regionali, 21 scelti tra sindaci, 5 nominati dal Presidente della Repubblica. Circa la composizione ed elezione del Senato, la riflessione principale va operata in relazione alla designazione dei 74 senatori che saranno scelti tra i consiglieri regionali. Va rilevato che le elezioni regionali sono disciplinate da leggi elettorali regionali differenti da Regione a Regione e che la durata del mandato dei “nuovi” senatori – da scegliere, come precisato, con modalità ancora indefinite – coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali per cui sono stati eletti. Quindi, un evidente limite della riforma costituzionale è rappresentato: dalla mancanza di omogeneità “temporale” in riferimento alla durata dell’incarico dei senatori atteso che i mandati elettorali dei consiglieri regionali hanno scadenze diverse e che le elezioni regionali non avvengono contestualmente in tutte le Regioni; dal formarsi – a seconda degli esiti delle elezioni regionali – di maggioranze diverse da quelle della Camera dei Deputati in seguito al continuo rinnovo dei Consigli Regionali, con il rischio di un continuo “viavai” di senatori e della conseguente paralisi dell’attività del Senato. Dal punto di vista operativo, pur avendo una posizione in apparenza recessiva rispetto alla Camera dei Deputati, al nuovo Senato sono attribuite funzioni rilevanti: innanzitutto rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli enti territoriali minori; valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione Europea sui territori; esercita funzioni consultive e di controllo; concorre all’esercizio della funzione legislativa, addirittura con la previsione al nuovo art. 70 Cost. che in alcuni casi il procedimento legislativo permanga bicamerale (ad esempio per le leggi di sistema e di garanzia); partecipa alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione Europea. Quindi, in riferimento all’obiettivo del superamento del bicameralismo paritario, è evidente che il Legislatore non ha optato nè per una seconda camera di riflessione e orientamento, come la House of Lord, oppure di raccordo strutturato con i governi dei territori, come il Bundesrat, nè più semplicemente per l’abolizione del Senato: è stata invece realizzata una forma di bicameralismo “temerario” (richiamando un’espressione utilizzata da celebri giuristi) in cui il nuovo Senato benché ridimensionato eserciterà poteri rilevantissimi, nonostante i dubbi sulla sua concreta operatività alla luce delle considerazioni precedentemente esposte

Di fronte ai limiti ed alle incognite che caratterizzano la riforma costituzionale, sono da invidiare quei cittadini convinti nel dire che la nuova Costituzione è migliore di quella attuale. Conclusivamente, pur auspicando la necessità della modifica di alcuni aspetti della nostra Carta Fondamentale, il testo della riforma oggetto di referendum non è condivisibile in quanto carente in molteplici punti. La necessità della modifica di alcuni aspetti della nostra Costituzione deve tradursi nella miglior riforma possibile e non in un intervento in cui le modifiche peggiorative prevalgono su quelle migliorative con benefici nulli o negativi in termini di governabilità.

Per questo motivo e con l’auspicio di una più valida riforma #iovotoNO

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