– A cura di Filippo Del Monte – L’inchiesta di Potenza sul petrolio che ha già colpito l’ex ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi ha travolto anche l’ex Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, sostituito qualche giorno fa dall’ammiraglio Valter Girardelli. Eppure ci si sbaglierebbe a pensare che la sostituzione di De Giorgi sia stata voluta solo ed esclusivamente per i suoi legami con gli indagati. In pentola bolle molto di più: uno scontro ai vertici della Difesa con tesi contrapposte sul tanto famoso “Libro Bianco” annunciato tempo fa dal ministro Pinotti e pubblicato lo scorso anno. Forse la Marina Militare è la forza armata che più di tutte risente e risentirà delle proposte contenute nel “Libro Bianco”. La razionalizzazione della spesa – che altro non è che una diminuzione dei fondi – andrebbe ad influire pesantemente sulle capacità operative della Marina, proprio nel momento in cui l’impegno della nostra flotta è ai massimi livelli. L’ammiraglio De Giorgi aveva puntato molto su un programma di ammodernamento della flotta legato alla costruzione di grandi navi da battaglia; piano che avrebbe richiesto ingenti fondi provenienti dal MiSE e che il generale Graziano puntava ad affidare invece all’Esercito. Oltretutto De Giorgi – e questa è storia recente – era ostile alla candidatura dell’ammiraglio Girardelli alla carica di Capo Gabinetto della Difesa perché avrebbe intaccato il potere “contrattuale” della Marina nei confronti della Pinotti. Il clima da congiura nei corridoi della Difesa, lo scontro sotterraneo tra Esercito da una parte con Marina ed Aeronautica dall’altra, non fa altro che rendere più intricata una vicenda che rischia di intaccare il potenziale della nostra flotta. Dato da non sottovalutare nel momento in cui nelle acque mediterranee si sta giocando una partita vitale e si prospetta un intervento militare in Libia dove l’Italia dovrebbe, almeno teoricamente, fare la parte del leone. La Dottrina navale russa del 2015 preannunciava proprio un ingresso in forze di Mosca nei “mari caldi”; la Turchia – alleata nella NATO ma rivale nel Mediterraneo – presumibilmente punterà nel prossimo futuro ad un rafforzamento del suo potenziale navale per sostenere i progetti “neo-ottomani” di Erdogan; la Francia e la Gran Bretagna sono in una fase di transizione per i loro apparati navali; l’area attorno al vitale Canale di Suez è in fibrillazione. Queste sono solo alcune delle questioni che rendono esplosivo lo scenario entro il quale dovrà agire la nostra Marina Militare. Una flotta già tesa allo stremo ed utilizzata per compiti “non consoni” ad un apparato militare – si vedano l’accoglienza dei migranti o la forte caratura “umanitaria” che si cerca di dare ad ogni intervento della Marina all’estero – non potrà essere un utile strumento nelle mani di Roma per tutelare i propri interessi nazionali nel fu Mare Nostrum. In quest’ottica il programma De Giorgi aveva una sua validità perché aveva previsto, con realismo ed oculatezza, non solo la situazione politico-strategica nei mari, ma anche un valido metodo per consentire all’Italia di essere protagonista del cambiamento e parte integrante di un nuovo equilibrio. Una Nazione come la nostra, bagnata per 3/4 da mare non può permettersi di avere una flotta che conduce operazioni costosissime, poco vantaggiose e con pochissime risorse a disposizione; si rischierebbe il collasso come più volte denunciato dai vertici di Palazzo Marina. La posizione geografica al centro del Mediterraneo garantisce all’Italia non solo una “proiezione navale” in tutto lo scacchiere, ma anche di utilizzare il proprio naviglio secondo i paradigmi della “fleet in being” (flotta in potenza) acquisendo un vantaggio non da poco sui propri avversari. E’ molto più conveniente rappresentare una minaccia potenziale al massimo delle proprie forze che utilizzare continuamente le proprie unità per operazioni sterili. In un periodo difficile per le finanze nazionali sprecare risorse – perché di questo si tratta – in azioni “umanitarie” significa distogliere fondi importanti agli investimenti sugli ammodernamenti e dunque sulla potenza della flotta. Compito di una “talassocrazia” moderna – quale l’Italia dovrebbe essere – è quello di non restare soffocata nel proprio mare, dunque di difendere i propri interessi specialmente nelle acque che per Secoli hanno rappresentato una ricchezza inestimabile proprio perché ci si era garantiti il primato navale. In una fase di sbriciolamento dello status quo è doveroso governare i cambiamenti e non subirli, ecco perché bisogna sfruttare la fase di incertezza di alleati ed avversari per dire la nostra.