-di Giacomo Tamborini- C’era una volta il centro-destra, e l’imperfetto è d’obbligo, capace di racchiudere in sé, in perfetta sintesi, tutte le anime di un mondo multiforme e variegato. Era il centro-destra che dialogava con la Lega Nord (che, dalla morte di Gianfranco Miglio e con l’egemonia di Salvini, di Lega Nord ha oramai ben poco) senza tuttavia esserne succube e, cosa ben più importante, era il centro-destra che dialogava con il Paese reale invece che esibirsi in drammatiche quanto isteriche “rese dei conti” a mezzo stampa e schizofrenici cambi di casacca.
Ora, di quel mondo, resta una galassia frammentata di partiti, partitini, correnti e leader autonominati, vassalli e valvassori di un regno in decadenza schiacciato tra Salvini e Renzi, senza dimenticare poi Grillo.
Eppure, coi sui limiti e i suoi errori, è un mondo che non merita la cancellazione, è un insieme di idee che deve ancora trovare compimento a prescindere da stemmi di partito e posizionamenti ideologici, pena la vittoria del non voto e il dominio incontrastato del renzismo.
E’ in questo contesto, dopo una sconfitta al pelo con Sala che l’ha comunque lasciato protagonista della scena, che si inserisce Stefano Parisi col suo progetto liberal-popolare e con davanti una strada lunga e tutt’altro che scontata.
L’obiettivo iniziale che sembra essersi prefissato Mister Chili, a ragione, è quello, prima ancora di creare un progetto politico, di ricostruire un’identità culturale andata perduta, gettando le lenti deformanti che hanno portato, negli anni, a vedere una realtà fittizia, perdendo così il contatto con quell’elettorato che, nonostante tutto, proprio non vuol votare “dall’altra parte”.
Con tanti esponenti politici vittime di uno sbandamento ideologico, e forse nella vana illusione di recuperare qualche elettore, abbiamo assistito ad una metamorfosi deleteria del centro-destra: il sacrosanto principio del garantismo sacrificato in nome di qualche prima pagina sui giornali, il produttivismo tipico del pensiero moderato messo in secondo piano da slogan populisti (qui è davvero il caso di dirlo) No Triv, la battaglia contro tasse e burocrazia relegata a “sempreverde” da tirare fuori nelle grandi occasioni…
Si è persa, insomma, quella base culturale che caratterizzava il centro-destra come moderato, riformatore e liberale, un’identità che ora va ricostruita passo passo pena non tanto anni di opposizione quanto l’assenza stessa di un’alternativa al PD e il tramonto di idee e ideali condivisi da milioni di italiani.
Quella di Parisi ha quindi tutti i presupposti per essere una vera rivoluzione, quel cambiamento sperato da tanti e per troppo tempo, può essere davvero l’occasione, anche partendo dal NO al referendum costituzionale, per far si che il centro-destra torni davvero a parlare con gli italiani.
La domanda, ora, è solo una: Parisi ha le potenzialità, ma ha il quid?
Dalla convention di Milano dovrà dimostrarlo.