-di Simone Paris e Federica Russo- Hangzhou è la città cinese in cui si sta tenendo in questi giorni il G20; è una fantastica città che vanta rapporti di lunga tradizione con l’Italia, avendo accolto Marco Polo e i gesuiti guidati da Matteo Ricci.
Il viaggio è stato, per il Premier Renzi, anche un’occasione per stringere rapporti sociali e commerciali più stretti con la realtà cinese: hanno avuto luogo un incontro bilaterale con il Presidente Xi Jinping, con la Delegazione degli studenti italiani dell’università di Tongij e anche una visita al quartier generale di AliBaba, il colosso cinese dell’e-commerce, con il quale è stato firmato un importante accordo commerciale per promuovere le eccellenze agroalimentari del nostro Paese e combattere i falsi. Ciò rappresenta un’intesa che consentirà ai produttori italiani di poter soddisfare la crescente domanda di Made in Italy sulla piattaforma cinese che conta oltre 430 milioni di consumatori.
Questo accordo rappresenta , stando alle parole del Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, “un punto concreto della nostra strategia di sostegno al Made in Italy agroalimentare nel mondo, che sfrutta anche formule innovative per tutelare e promuovere i prodotti di qualità’”.
Sul fronte della tutela l’Italia è l’unico Paese al mondo ad avere garantito ai prodotti DOP e IGP la stessa tutela contro il falso che hanno i brand commerciali sulla piattaforma e-commerce. L’accordo riguarda non solo protezione, ma anche promozione e l’Italia investe per valorizzare le proprie eccellenze enogastronomiche sul sito cinese, partendo con il vino nella giornata dedicata, il 9 settembre, a questo prodotto su Alibaba con un evento speciale presentato in anteprima mondiale allo scorso Vinitaly proprio da Jack Ma, fondatore della stessa società.
Un impegno destinato a essere ulteriormente rafforzato nelle prossime settimane grazie all’inserimento della Cina nei target strategici per gli investimenti del piano straordinario di internazionalizzazione con l’obiettivo di accompagnare le aziende italiane in un mercato dal potenziale di crescita molto interessante. Basti pensare che nei primi cinque mesi del 2016 le importazioni cinesi di vino sono cresciute del 42%, raggiungendo la quota di 1 miliardo di euro.
Certo è che la situazione non si è presentata sempre così favorevole per l’Italia e per gli Stati intenti a creare solidi rapporti con il Gigante Cinese. Nel tempo infatti, ci ricordano le Professoresse Cedrola e Battaglia, a seconda dei governi che a Pechino si sono succeduti, è stata diversa la tipologia di relazione posta in essere con le altre grandi potenze: dal 1949 al 1978, ad esempio, il paese è stato caratterizzato da una vera e propria chiusura nei riguardi delle attività estere. Lo scenario è mutato con Deng Xiaoping proprio nel ’78 quando si decise di porre in essere la “Open door Policy” creando una “Special Zone” in cui non solo potessero essere attratti capitali stranieri, ma in cui le multinazionali potessero essere avvantaggiate da una “Tax Holiday” che permetteva una completa esenzione fiscale nei primi 2 anni di esercizio dell’attività. A seguire poi, negli anni ’90, il Governo Cinese arriva a stabilire specifici settori in cui gli investimenti stranieri potessero essere incoraggiati o proibiti. La svolta si ha però con l’entrata nel WTO in cui la Cina si trasforma completamente: attrae investimenti provenienti dal di fuori e inizia a guardare al mondo come un mercato vasto ed appetibile, migliora le proprie infrastrutture e punta sullo sviluppo del capitale umano.
Spunti interessanti per la riflessione in tale ambito ci sono offerti anche dal lavoro di Juan Pablo Cardenal e Heriberto Araùjo in “Come la Cina sta conquistando l’Occidente”. I due giornalisti rivelano che tra il 2005 e il 2014 la Cina ha investito più di 257 miliardi di dollari in Nord America, Europa e Australia. Queste esorbitanti cifre sono però destinate a lievitare nel 2020 con investimenti che si aggireranno intorno ai 2000 miliardi di dollari, tra i 250 e i 500 all’anno solo in Europa.
Anche in virtù della consapevole fonte di ossigeno che i capitali cinesi apportano alle economie dei vari stati, l’atteggiamento che quest’ultimi hanno assunto nei riguardi del “Celeste Impero” è stato assai diverso rispetto a quello assunto nei confronti di altri paesi nelle medesime circostanze. Del resto, come biasimarli? La Cina inietta fondi nelle nostre casse e quindi crea posti di lavoro per noi necessari come non mai. La Cina sta muovendo le redini delle economie mondiale e può deciderne il destino. Una verità cruda? Forse, ma pur sempre la verità.
I due giornalisti spagnoli ci forniscono così esempi illuminanti, che meglio possono far percepire la natura e l’importanza di un rapporto commerciale con la Cina al giorno d’oggi:
pensiamo alla Groenlandia, un paese tanto freddo quanto ricco di risorse minerarie che, nonostante ciò, è contraddistinta da un’economia debole. L’interesse cinese nei riguardi di questa terra lontana, negli ultimi tempi, è stato evidente e mostrato al mondo attraverso un progetto avviato nel gennaio 2015 dalla General Nice Development Limited, gruppo asiatico operante nel settore dello sfruttamento minerario. Il gigante, prendendo in eredità quanto iniziato ma non portato avanti dalla London Mining, ha ottenuto una concessione per lo sfruttamento in Isukasia. Tale progetto ha indotto le autorità della GreenLand a modificare le leggi esistenti da decenni sul territorio in merito al salario minimo per i lavoratori stranieri, aprendo così le porte al colosso cinese che, si stima, entro il 2027 porterà nelle casse del governo 519 milioni di dollari all’anno. Bella somma per un paese che sopravvive grazie ad un sussidio danese e in cui il tasso di suicidio è tra i più elevati. Ma, ancora, il ruolo Cinese nel paese ha interessato i leader politici di diverse nazioni quando Aleqa Hammond, cancellando il divieto di estrazione dei minerali cd “strategici”,ha reso questa terra protagonista di accese discussioni: questi metalli sono rilevanti per le nuove tecnologie, li ritroviamo nei nostri smartphone, nelle macchinette fotografiche, nelle batterie, negli hard disk, ma la loro estrazione è ostacolata dal fatto che essi si trovino mescolati a materiali radioattivi. Un progetto che verrà avviato nel 2018 ad opera della China Nonferrous Metal Industry’s Foreign Engineering and Construction potrebbe portare la Cina ad ottenere uno straordinario e totale controllo sulla produzione di tali vitali risorse.
Ma citiamo anche il Canada: non molti sapranno che a Markham, città nell’area metropolitana di Toronto, si registra che quasi metà della popolazione è di origine cinese. Perché vi chiederete. Fino al 2014 il paese ha lanciato diversi programmi federali per l’immigrazione che hanno permesso a 130.000 milioni di persone di ottenere la residenza in Canada, tra questi ovviamente moltissimi cinesi. I requisiti da possedere erano i seguenti: patrimonio netto di almeno 1,6 milioni di dollari e la concessione di un prestito di 800 000 dollari ad una amministrazione provinciale. Così come il Canada, anche gli Stati Uniti con il programma EB-5 o l’Australia con il “Programma 888” hanno voluto attrarre investimenti stranieri e, in particolar modo cinesi, nei loro paesi.
In Europa non si sono fatti sfuggire l’occasione neppure il Portogallo, l’Irlanda, il Belgio, Malta e Cipro che concedevano la residenza in cambio di investimenti per lo più immobiliari innescando il meccanismo dei “visti d’oro”.
I dati così riportati nell’inchiesta di Cardenal e Araùjo ci svelano il “retroscena” di una realtà complessa in cui, giorno dopo giorno, la Cina evidenzia il proprio ruolo dominante. Il partner a cui tutti aspirano. Cosa può fare l’Italia al fine di trarre benefici dall’ascesa di questa potenza economica che tanto affascina gli studiosi di economia? Ancora molto. Sicuramente dubbi circa le competenze in merito di un Governo così mal composto assalgono le nostre menti. Quando non si può contrastare il nemico, bisogna essere in grado di apprendere da esso. Lungimiranza, reattività ai cambiamenti, innovazione, sviluppo, sono tematiche che non possono passare in secondo piano al fine di dominare i cambiamenti e non di subirli, rischiando di essere inevitabilmente schiacciati sotto il peso di chi va avanti più forte e veloce di noi.