E nel suo intervento sul palco, prima dell’elezione, Davigo non ha risparmiato Matteo Renzi: “Quel ‘brr che paura’ è una cosa che non mi è piaciuta per niente”, riferimento a una battuta del presidente del Consiglio nel pieno delle polemiche sul taglio delle ferie ai magistrati, sottolineando invece come i magistrati italiani sono quelli che lavorano di più in tutto il Consiglio Europeo. Per il capo del governo, il rapporto con le toghe è ormai un pensiero fisso, confermando la volontà di non mettere mano alla riforma delle intercettazioni, e invocando buon senso e responsabilità dei giudici. Ma l’orizzonte è tracciato, perché la riforma è già in cantiere sotto forma di delega al governo contenuta nel ddl sul processo penale. Ma il punto vero non è più il se, ma il come Palazzo Chigi intenda modificare le regole del gioco una volta che il testo della delega sarà stato approvato anche al Senato. Renzi infatti riconosce l’utilità dell’utilizzo delle intercettazioni al fine delle indagini, chiarendo però che le vicende familiari, e tutti i pettegolezzi sarebbe meglio non vederli sui giornali. Forse avrebbe preferito che il caso del Rolex del figlio di Lupi, del papà della Boschi e del fidanzato della Guidi, tutti pettegolezzi di evidente pertinenza “familiare”, (la loro), non fossero stati resi pubblici, come dire: il Governo è “Cosa Nostra” ! Occorre però specificare, che non c’è bisogno di aspettare il ddl sulla riforma del processo penale, in quanto se esse non sono pertinenti e vengono pubblicate, la parte offesa, è tutelata attraverso il reato di diffamazione. Il sistema delle intercettazioni è infatti un sistema che cerca di conciliare interessi contrapposti: quello della riservatezza da una parte e quello dell’esigenza delle parti di conoscere gli elementi dall’altra. Il pm esegue delle intercettazioni, per poi chiederne la trascrizione al giudice attraverso un’udienza filtro per specificare quale a suo giudizio ritiene essere rilevanti, con l’obbligo però di depositarle tutte, in quanto ciò che a lui non pare rilevante, potrà essere rilevante per la difesa; inevitabilmente queste intercettazioni, pur soggiacendo al divieto di pubblicazione integrale, non essendo più segrete, è chiaro che vengano pubblicate. Un passo in avanti – afferma Davigo – potrebbe essere quello di porre il segreto anche dopo il deposito dell’ intercettazioni, o che il magistrato ponga gli “omissis” all’avvocato, permettendogli di ascoltare, ma non di ricevere il fascicolo dell’intercettazioni, a meno che non ci sia la “prova provata”; a suo parere però un tal scelta non reggerebbe davanti la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’uomo. Esaurita la questione intercettazioni Davigo ha ripreso il Presidente del Consiglio sulla prescrizione, rispondendo all’affermazione di Renzi sul fatto che in Italia ci sono tante inchieste e poche sentenze. Gioco facile per Davigo usare il fioretto dell’ironia: “I processi finiscono sempre con una sentenza di condanna, di assoluzione o con la prescrizione. Forse voleva dire che ci sono poche sentenze di condanna“. Per il magistrato quello della prescrizione è uno dei problemi della giustizia italiana perché “decorre anche dopo il primo grado. La prescrizione è indispensabile fino al processo. Ma, acquisite le prove, non si capisce perché deve continuare a decorrere”.
Insomma il nuovo Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati non è certo uno che le manda a dire, ma forse per incontrarsi Politica e Magistratura, che hanno uno o più conti aperti, proprio perché non esistono governi amici o nemici, è meglio che chi li rappresenta sia un personaggio di spessore, di carattere con una sana ed intelligente ironia, affinchè tutto, nella pretesa del rispetto della propria identità e dignità, possa essere superato con la forza del dialogo.