A 52 anni dalla morte di Ernesto Che Guevara è anche arrivato il momento di fare un po’ di sana controinformazione su questo mito rivoluzionario che tanto affascina le giovani generazioni. Ci sono in mezzo torture, campi di concentramento e tanto, troppo sangue nei confronti di sacerdoti, controrivoluzionari e omosessuali torturati da parte di questo medico cubano.
Il filo rosso delle violenze disumane commesse dal ‘Che’ non viene descritto da chissà quale reazionario di destra, ma dall’ex collaboratore di Palmiro Togliatti, segretario storico del Partito Comunista Italiano, Massimo Caprara che racconta in questa intervista al giornalista Enrico Oliari cosa avvenne subito nel ’59 subito dopo la fuga del dittatore Fulgenzio Batista: “Le accuse nei Tribunali sommari rivolte ai controrivoluzionari vengono accuratamente selezionate e applicate con severità: ai religiosi, fra i quali l’Arcivescovo dell’Avana, agli omosessuali, perfino ad adolescenti e bambini”.
Nel 1960 il procuratore militare Guevara illustra a Fidel e applica un “Piano generale del carcere”, definendone anche la specializzazione. Tra questi, ci sono quelli dedicati agli omosessuali in quanto tali, soprattutto attori, ballerini, artisti, anche se hanno partecipato alla rivoluzione. Pochi mesi dopo, ai primi di gennaio, si apre a Cuba il primo “Campo di lavoro correzionale”, ossia di lavoro forzato. È il Che che lo dispone preventivamente e lo organizza nella penisola di Guanaha. Poi, sempre quand’era ministro di Castro, approntò e riempì fino all’orlo quattro lager: oltre a Guanaha, dove trovarono la morte migliaia di avversari, quello di Arco Iris, di Nueva Vida (che spiritoso, il “Che”) e di Capitolo, nella zona di Palos, destinato ai bambini sotto ai dieci anni, figli degli oppositori a loro volta incarcerati e uccisi, per essere “rieducati” ai principi del comunismo.
È sempre Guevara a decidere della vita e della morte; può graziare e condannare senza processo. “Un dettagliato regolamento elaborato puntigliosamente dal medico argentino – prosegue Caprara, sottolineando che Guevara sarebbe legato al giuramento d’Ippocrate – fissa le punizioni corporali per i dissidenti recidivi e “pericolosi” incarcerati: salire le scale delle varie prigioni con scarpe zavorrate di piombo; tagliare l’erba con i denti; essere impiegati nudi nelle “quadrillas” di lavori agricoli; venire immersi nei pozzi neri”. Sono solo alcune delle sevizie da lui progettate, scrupolosamente applicate ai dissidenti e agli omosessuali.
Il “Che” guiderà la stagione dei “terrorismo rosso” fino al 1962, quando l’incarico sarà assunto da altri, tra cui il fratello di Fidel, Raoul Castro. Sulla base del piano del carcere guevarista e delle sue indicazioni riguardo l’atroce trattamento, nacquero le Umap, Unità Militari per l’Aiuto alla Produzione (vedi il dossier di Massimo Consoli), destinati in particolare agli omosessuali”
In un altro passaggio dell’intervista Caprara descrive: ”Nel corso dei due anni passati come responsabile della Seguridad del Estado, della Sicurezza dello Stato, parecchie migliaia di persone hanno perduto la vita fino al 1961 nel periodo in cui Guevara era artefice massimo del sistema segregazionista dell’isola. Il “Che”, soprannominato “il macellaio del carcere-mattatoio di La Cabana”, si opporrà sempre con forza alla proposta di sospendere le fucilazioni dei “criminali di guerra” (in realtà semplici oppositori politici) che pure veniva richiesta da diversi comunisti cubani. Fidel lo ringrazia pubblicamente con calore per la sua opera repressiva, generalizzando ancor più i metodi per cui ai propri nuovi collaboratori”.
I dati forniti da Amnesty International parlano di oltre 100.000 cubani coinvolti nelle repressioni dei campi di lavoro. Sono state accertate le uccisioni da parte del regime di circa 17.000 persone. Il ‘Che’ come medico capace di infliggere torture ai prigionieri per la sua ricerca scientifica ricorda molto la figura del medico nazista Mengele.
Ma essendo un mito della cultura sinistra nessuno può dirgli niente e non ci sono leggi Fiano a vietare la faccia di questo assassino sulle magliette dei nostri ragazzi.
(fonte dell’intervista Qelsi)