Estremamente testardo, forgiato dalla partecipazione e dalla prigionia vissuta durante la Prima Guerra Mondiale, de Gaulle – dopo una brillante carriera da sottotenente e poi capitano – entra nell’ultimo gabinetto della Francia indipendente, presieduto da Paul Reynaud, in qualità di Sottosegretario alla Guerra. Eppure fino al 18 giugno 1940, data dello storico appello pronunziato ai microfoni della londinese BBC, il generale di brigata pro tempore era sconosciuto ai più. Disprezzato da Roosevelt, stimato da Churchill, Charles de Gaulle attraverso intransigenza, fermezza, dedizione riesce ad affermarsi quale figura politica preminente della Francia legittima.
Decisionista infastidito dai partiti politici e dai riti della democrazia parlamentare, de Gaulle si dimette da capo del governo provvisorio nel 1946; nel frattempo la Francia – umiliata ed occupata dai nazisti -, grazie all’azione del Général, sedeva al tavolo dei vincitori, disponeva dell’amministrazione di una parte dell’ex Reich, godeva del seggio permanente al consiglio di sicurezza delle neonate Nazioni Unite. Saranno l’irreversibile crisi politica che la IV Repubblica visse dalla sua nascita e per tutta la durata degli anni ’50 del XX secolo, congiuntamente alla Guerra d’Algeria (colonia francese dal 1830, costituzionalmente territorio metropolitano transalpino) – passando per le debacle militari dell’Indocina e Suez – a riportare al centro della scena politica il Generale Charles de Gaulle, nel 1958, a 67 anni. Rimarrà in carica fino al 1969.
Determinista, assai pragmatico, realista classico, de Gaulle aveva una visione pessimistica della natura umana e della storia: una storia intrisa di terrore, violenza e tragicità. Il fondamento delle relazioni internazionali era la perenne ed incessante lotta per il conseguimento degli interessi nazionali ed era lo Stato l’attore politico di maggior rilevanza. Il Generale si batté incessantemente per restaurare il ruolo di primo rango della Francia – la Grandeur – e l’indipendenza nazionale costituì la pietra miliare della politica di de Gaulle; indipendenza intesa come traduzione politica della nozione giuridica della sovranità, condizione sine qua non per esistere sulla scena diplomatica – “La France ne peut etre pas la France sans la grandeur” sarà uno dei suoi motti. Indipendenza che cozzava contro il desidero di egemonia delle grandi potenze sul “Vecchio Continente”, contro la logica dei blocchi contro la quale spese molte energie; lanciò nel corso degli anni ’60 una politica di revisionismo globale anti americana che lo porterà in pochi anni a sconsigliare J.F.Kennedy (nel corso della sua visita a Parigi nel 1961) di impegnarsi militarmente in Vietnam – quando ancora sul luogo erano presenti pochi consiglieri bellici -, a riconoscere diplomaticamente nel 1964 la Cina Popolare – anticipando di circa un decennio le azioni del futuro presidente Richard Nixon -, e soprattutto ad uscire dal comando integrato della NATO nel 1966 – costringendo l’intero apparato dell’alleanza ed i migliaia di soldati americani ivi stanziati a traslocare nelle squallide periferie belghe. Un uomo visionario.
Inevitabile, dunque, in un momento così delicato – terrorismo di matrice islamica incalzante -, rifarsi al più grande statista che la Storia repubblicana francese ricordi: Charles de Gaulle. La Francia, fra Parigi, Lione, Marsiglia, Strasburgo, Lilla, ha la più grande popolazione musulmana d’Europa. Già all’epoca del Generale, massiccia era l’immigrazione dai territori dell’Africa del Nord verso la metropoli: Il generale, uomo di destra, pronunciava profetico – seppur inascoltato – parole contrarie al multiculturalismo nel lontano 1959. “E’ un bene che ci siano francesi gialli, francesi neri e francesi marrone. È la dimostrazione che la Francia è aperta a tutte le razze e che ha una vocazione universale” sosteneva de Gaulle, il quale aggiungeva tuttavia che “Essi devono rimanere una piccola minoranza. Altrimenti la Francia non sarà più la Francia”. Sì, perché secondo il Generale visionario “Noi (riferendosi ai francesi) siamo comunque prima di tutto un popolo europeo di razza bianca, di cultura greca e latina e di religione cristiana. Chi crede all’integrazione ha il cervello di un colibrì!”.
Parole provocatorie, caratteristica imprescindibile dei discorsi pubblici del Generale. Impossibile per i politici del giorno d’oggi pensare di pronunziare discorsi analoghi a questi, senza esser mediaticamente decapitati – o senza esser accusati di fascismo – da Hollande a Sarkozy. Un politico di altro spessore, un pezzo di storia. L’Italia non ha mai avuto un de Gaulle, e ne paghiamo perennemente le conseguenze; uomo inevitabilmente discusso e sul quale si dibatte ancor oggi, il Général de Gaulle è oggi assai rimpiainto anche oltralpe.