Il Centrodestra ha ottenuto oltre due milioni in più della coalizione di Bersani nel 2013. Di fronte a questo risultato non ci devono essere esitazioni e tentennamenti. O si rispetta il mandato popolare o si torna al voto.
Sette punti e mezzo di vantaggio sulla coalizione di Bersani che pretese di governare per 5 anni non sono affatto pochi. C’è un Paese spaccato in tre ma fortunatamente una di queste parti ha ottenuto un vantaggio di 5 punti sulla seconda forza e ben 15 sul centrosinistra di Renzi. Le indicazioni sono chiare ed è colpa del solo pastrocchio piddino della legge elettorale che porta il nome del Capogruppo Pd se oggi non c’è una chiara maggioranza in corrispondenza di quel voto.
Non si può formare un Governo prescindendo da quel 37% popolare che si è tramutato nel 41,5% dei componenti della Camera e nel 43,5% di quelli del Senato.
Se con molti meno voti Bersani ha ottenuto un incarico esplorativo, questa volta tocca al centrodestra e a Salvini dare le carte e tentare di formare un Governo. Se alla fine del tentativo non ci fossero altre alternative non resterebbe altro che votare, come avvenuto in Spagna, finché non ci sarà una maggioranza stabile o finché le forze non si decidano a trovare una desistenza su punti programmatici. Si torna alle urne con tutti i rischi che corrono quei partiti più piccoli che possono sparire in meno di tre giorni. Si torna alle urne sapendo che gente come Di Maio è al secondo mandato e non potrà essere ricandidata insieme a tutti i deputati della precedente legislatura.
Si tornerà a votare sapendo che come avvenuto al sud gli elettori di una sinistra arresa e sconfitta non hanno alcun problema a votare il 5 stelle e che dunque il minimo storico ottenuto dal pd il 4 marzo potrà essere visto come un momento di successo rispetto ai nuovi disastri. Ognuno si assuma le proprie responsabilità.