– a cura di Filippo Del Monte- Al vertice di Bratislava si è consumata l’ennesima spaccatura nel tessuto politico dell’Unione Europea. Stavolta ci si trova dinanzi allo scontro tra le principali Potenze comunitarie: Italia, Francia e Germania. Renzi si è presentato da solo in conferenza stampa, disertando quella congiunta con Merkel ed Hollande, perché in disaccordo con le decisioni prese nel vertice. I governi francese e tedesco non hanno avuto alcuna intenzione di scendere a patti sulla “flessibilità” ed in materia di immigrazione si sono mostrati chiusi ad ogni proposta avanzata dagli italiani.

Quando nel 2012 venne ratificato il trattato del “Fiscal Compact” si stabilì una sua durata quinquennale e che, alla scadenza, si sarebbe deciso quali misure attuare. L’Italia è convinta che gli interventi dello Stato per la crescita economica debbano essere più forti, anche a rischio di aumentare la spesa pubblica. Tutto il contrario rispetto a quanto pensano a Berlino – i tedeschi restano i campioni dell’austerity – e di quanto danno impressione di pensare a Parigi. Vista la situazione economica francese, con un governo incapace di riformare il sistema pensionistico e le banche in crisi, non si spiega l’atteggiamento filo-tedesco dell’Eliseo se non con motivazione esclusivamente politiche, cioè per la volontà di rafforzare l’asse franco-germanico dopo lo scossone della Brexit.

Nel periodo più caldo del referendum britannico tanto i tedeschi quanto i francesi giocarono le carte della flessibilità e dell’impegno nel contrasto all’immigrazione per convincere i britannici a votare “remain”. Fallito questo tentativo, la Germania non ha avuto remore a gettare la maschera tornando ad essere il “cane da guardia” dell’eurocrazia. In un primo tempo Roma e Parigi si erano avvicinate mettendo in allarme Berlino, ma come già avevamo anticipato qualche mese fa, si trattava di schermaglie tattiche volte ad ottenere concessioni reciproche e non di uno spostamento del baricentro strategico dell’Unione Europea verso una “trazione latina”.

Per quanto riguarda l’immigrazione a Bratislava non sono emerse sostanziali novità. L’Italia continua a combattere la sua battaglia solitaria contro il resto dei Paesi comunitari che non ne vogliono sentire di “quote migranti” o di rafforzamento dei meccanismi d’accoglienza condivisi. In Germania la Merkel e la CDU sono sotto attacco proprio per la “cultura delle porte aperte” che la cancelliera ha voluto inaugurare accogliendo i rifugiati siriani. Le componenti più a destra della CDU, la quasi totalità della bavarese CSU, la destra nazionalista di Pegida e quella anti-euro di AfD sono concordi nel chiedere al governo di impedire l’ingresso in Germania a quanti sono “troppo lontani dalla cultura tedesca”. Sull’immigrazione la Merkel si giocherà il proprio futuro politico ed è naturale che non voglia scoprire il fianco ad ulteriori attacchi tendendo una mano verso le richieste italiane.

La Francia non ha alcuna intenzione di cedere sulle politiche migratorie visti i suoi problemi interni con le comunità straniere ed il crescente consenso che il Front National, proprio cavalcando l’ondata anti-immigrati sta ottenendo. I respingimenti a Ventimiglia – nel pieno rispetto del Trattato di Dublino – ha raffreddato i rapporti con l’Italia. Dunque anche la nostra “sorella latina” d’oltralpe si mostra sorda alle richieste di un Paese, l’Italia, che non riesce più a reggere il peso economico ed i problemi sociali legati all’accoglienza.

Merkel e Hollande a Bratislava non hanno fatto altro che riconfermare l’accordo UE-Turchia, praticamente un ricatto da parte di Ankara che costa all’Unione Europea 3 miliardi l’anno. Bloccare i flussi ad est non impedisce comunque ai trafficanti di esseri umani di riversare frotte di disperati – e presunti tali – sulle nostre coste. Tale problema è legato all’instabilità del Mediterraneo ed alle porose frontiere degli Stati rivieraschi nordafricani, Libia su tutti. Lo sforzo italiano per rafforzare i meccanismi di cooperazione internazionale con gli Stati africani non è per nulla condiviso da francesi e tedeschi con cui Roma ha le mani legate.

A Bratislava è emerso nuovamente il fondo “economicistico” su cui l’Unione Europea si basa, non comunità di destino ma grande mercato. Con l’esodo migratorio in costante aumento l’Italia rischia di soffocare nel suo stesso mare, per rispolverare un vecchio slogan – ma che scopriva l’ambivalenza che il Mediterraneo poteva avere per il nostro Paese in contesto di crisi – della geopolitica fascista. Stavolta le catene da spezzare non si trovano a Suez e Gibilterra come nel 1940 ma a Bruxelles con anelli che passano per Berlino e Parigi. Non ci si poteva aspettare per noi una “passeggiata trionfale” per agguantare il posto che fu di Londra negli equilibri europei pre-Brexit ed il vertice di Bratislava lo ha dimostrato. Per ottenere ciò che le spetta Roma dovrà sgomitare ed anche facendolo il risultato non sarebbe garantito senza un cambio di passo sostanziale della nostra politica europea. Bratislava lascia l’amaro in bocca ma rinnova le tante domande sulla reale stimmung dell’Unione Europea nel mondo di oggi.