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BOLOGNA E LO SPETTRO DELL’ASTENSIONE

bolognaA cura di Francesco Severa – Era il 1985 quando Giacomo Biffi, da appena un anno nominato nuovo arcivescovo di Bologna, descrisse la sua nuova città di adozione con due attributi, talmente illuminanti e profetici da poter bene adattarsi anche alla condizione attuale della nostra Civiltà europea. Era “sazia e disperata” la Bologna di Biffi: sazia di un benessere sociale ed economico che ancora oggi pone la città tra le prime quindici per qualità della vita in Italia; disperata, perché sembrava – e continua a sembrare oggi – che queste sue conquiste materiali avessero offuscato quel profondo spirito ideale che sempre l’aveva caratterizzata. “Mangiare i tortellini con la prospettiva della vita eterna, rende migliori anche i tortellini, più che mangiarli con la prospettiva di finire nel nulla”, pare ancora ripetere il cardinale, con quella ironia tutta ambrosiana che tradiva le sue radici, al suo amato popolo felsineo. E questa contraddizione, malattia della modernità, è forse la causa più evidente, in Italia come a Bologna, di quella necessità profonda, sentita da ogni cittadino, di una classe politica capace di ispirare, di comunicare certezze, di offrire una visione chiara del futuro. Ma che succede se la Politica rinuncia al suo carisma più proprio? Se non riesce più ad essere guida, ma si limita ad una difesa inutile dello status quo? Se preferisce l’inconsistenza di un’ordinaria amministrazione, all’offerta di una visione convincente e concreta del domani? Il rischio concreto che in ogni consultazione il partito più consistente in termini percentuali resti sempre quello di chi alle urne decide di non andarci. Questo è lo spettro che aleggia su queste amministrative che interesseranno Bologna il prossimo cinque di giugno. Il Sindaco uscente è Virginio Merola, sessantuno anni, l’uomo che ha preso in mano le redini della città dopo il caos Delbono. Una storia politica, la sua, che lo ha visto militare sotto tutte le enigmatiche sigle che hanno segnato la trasformazione del PCI in PD, partito che contribuì a fondare nel 2007. Di Merola si parla come di un Sindaco remissivo, che non ha compiuto nessuna scelta memorabile, ma a cui nemmeno si possono imputare danni irreparabili. Eppure la sicurezza di strappare la vittoria al primo turno sembra essersi affievolita negli ultimi giorni, se è vero che il Sindaco, tradendo la sua fede renzianissima, invitato alla festa della CGIL a ricordare Luciano Lama a venti anni dalla morte, ha deciso di appoggiare il referendum promosso dal sindacato contro il Jobsact. Qualche voto da sinistra non fa mai male, anche a costo di scontentare il Presidente del Consiglio. “Temo che avrà già cambiato idea il 3, quando arriverà Renzi”, commenta sarcastico Federico Martelloni, quarantuno anni, professore di diritto del lavoro candidato a Palazzo D’Accursio con “Coalizione Civica per Bologna”, lista nata dalla rottura tra l’amministrazione Merola e la sinistra più radicale su una serie di temi, non ultimo quello delle occupazioni. Martelloni, con espressione fumosa, ripete continuamente di voler fare di Bologna “la città meno diseguale d’Europa”; a leggere il suo programma difficile non pensare ai gloriosi giorni dell’Unione Sovietica, soprattutto quando afferma, alla voce “Housing sociale” di “proporre modelli abitativi “estroversi”, capaci di preservare la dimensione intima senza renderla esclusiva”; e continua “ lo stile progettuale deve mirare per un verso al contenimento dello spazio privato e, per l’altro verso, a sviluppare spazi comuni interpretati come occasione di incontro e scambio”. Insomma modello abitativo a metà tra un kibbutz ed un ostello della gioventù. Sondaggi alla mano però non sarà certo Martelloni a contendere il ballottaggio a Merola. Da una parte, il Movimento 5 Stelle ha schierato – di nuovo – Massimo Bugani, classe 1978. Non certo il primo che passa, visto che il candidato Sindaco non solo può vantare una stretta amicizia con Beppe Grillo, ma soprattutto è diventato socio, insieme a Davide Casaleggio e David Borrelli, dell’Associazione Rousseau, quella che gestisce la piattaforma digitale del movimento. Non sono state necessarie nemmeno le “comunarie” per sceglierlo. Più che il suo programma ha fatto scalpore la decisione di far firmare a tutti i candidati della lista il famoso “Codice Etico” del movimento. Tre pagine con obblighi di trasparenza sui compensi, rispetto del “Non Statuto”, divieto di associarsi ad altri partiti. E poi il punto più inquietante: “le proposte e gli atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse verranno preventivamente sottoposte a parere tecnico-legale a cura dello staff”. Pena centocinquantamila euro di multa. Insomma una firma per scoprirsi, invece di rappresentanti del popolo, burattini telecomandati. Dall’altra parte c’è il centrodestra. Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono riusciti, nonostante le tensioni romane, a convergere su Lucia Borgonzoni, trentanove anni, salviniana di ferro. E’ la sicurezza il centro del suo programma. Una lotta assoluta a quelle che chiama “zone franche di illegalità”; non ultimi i centri sociali, che spadroneggiano in zone non certo periferiche della città e che la Borgonzoni non ha fatto mistero di aver frequentato da giovane, anche se si dice che oggi di rosso gli siano rimasti soltanto i capelli. E sono stati proprio i collettivi a dichiarare battaglia contro la decisione leghista di chiudere la campagna elettorale, alla presenza dello stesso Matteo, Segretario, il due giugno in piazza Verdi, luogo simbolo della contestazione studentesca. Dormiranno lì per impedire il comizio, ma sembra che dagli ambienti del Carroccio non ci sia, giustamente, nessuna intenzione di retrocedere. La questura parla già di schierare non meno di duecento uomini tra militari e agenti, al fine di garantire la sicurezza. E’ avvilente pensare che in questo paese, pur essendo tutti uguali, ci sia qualcuno pronto a sentirsi più uguale degli altri. Civico, pur con un passato da leghista, con l’appoggio dei partiti centristi, UDC e NCD, è Manes Bernardini, trentatre anni. Il suo movimento, “Insieme Bologna”, presenta un programma poco incline a spinte utopistiche, ma molto concreto e ispirato al buon senso, col rischio quasi di sembrare anonimo. Ha colpito la presenza nella lista a suo sostegno di Giulio Venturi, giovane nipote di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Nuove BR nel 2002. I sondaggi lo danno in forte crescita. Legato al centrodestra è anche Sergio Celloni, che con la sua lista “Giustizia, Onore, Libertà” punta tutto sul decentramento amministrativo. Lo spostamento di tutta l’amministrazione pubblica dal centro storico in Bolognina, come occasione di sviluppo per le zone periferiche della città e rivitalizzazione del centro storico. Infine da non dimenticare Mirko De Carli, giovane manager di trantadue anni, su cui hanno puntato Mario Adinolfi e Gianfranco Amato per guidare la lista del loro nuovo movimento, “Il Popolo della Famiglia”. Una scommessa che tenta di dar voce ad una parte non piccola dell’elettorato italiano che non si riconosce nelle nuove politiche su famiglia e diritti civili portate avanti dal governo. Un panorama dunque assai variegato, che però presenta un fronte anti-Merola profondamente diviso, tutto a vantaggio del Sindaco uscente. Manca un’offerta carismatica che riesca veramente a far appassionare i bolognesi, che sembrano proiettati sulla scelta del minor male possibile. In questo clima di indifferenza il vero avversario da battere sarà l’astensionismo.

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