I problemi non tardarono ad arrivare: fra arretratezza economica e rivendicazioni federaliste da parte dei gruppi etnici minoritari, nel 1962 un colpo di stato militare condotto dal generale Ne Win spazzò via il governo democratico. Opposizione al regime, guerriglia e violenta repressione caratterizzarono la vita del paese fino agli anni novanta: è in questo contesto che si inserisce Aung San Suu Kyi, leader fondante dell’ NLD – “Lega nazionale per la Democrazia” – nel 1988.
Attiva nella difesa dei diritti umani, Influenzata dagli insegnamenti del Mahatma Gandhi ed affascinata dalla filosofia buddista, Kyi porta, nel 1990, l’NLD ad una strabiliante vittoria nelle prime elezioni libere nel paese dopo oltre 30 anni; rifiutandosi di cedere il potere, l’esercito rovesciò l’Assemblea Popolare ed arrestò Suu Kyi. I militari diedero avvio al travaglio personale di Kyi, rimessa in libertà nel 1995, nuovamente arrestata nel 2000, liberata nel 2002, nuovamente arrestata nel 2003, venne definitivamente liberata il 13 novembre 2010.
Proprio nel 2010, fortemente contestate per i brogli che le hanno contraddistinte – tanto che il partito di Suu Kyi non si presentò – ed internazionalmente riconosciute come una farsa, da UE ed USA in testa, si tennero nuove elezioni: Il governo fantoccio che ne scaturì, infatti, vedeva a capo dei principali ministeri, eccezion fatta per quelli del Lavoro dell’Istruzione e della Sanità in mano a civili, degli ufficiali dell’esercito.
Eppure la pazienza, la dedizione e l’intransigenza dell’azione politica di Suu Kyi hanno contribuito al lento e tormentato processo di democratizzazione del paese. Congiuntamente all’acuirsi delle sanzioni internazionali ed alla pressione esercitata dall’opinione pubblica globale, il governo fu costretto a concedere riforme strutturali; 200 prigionieri politici liberati, istituzione di una commissione Nazionale per i diritti civili, leggi sul lavoro e sull’associazionismo sindacale oltre ad un allenamento della censura sulla libertà di stampa.
Dopo oltre 50 anni di dittatura militare, le prime elezioni libere in 25 anni, si sono svolte nel fine settimana. Il partito del premio Nobel per la pace nel 1991 ha colto una strabiliante vittoria, ottenendo il 70% dei voti – in alcune zone del paese anche l’80. “È troppo presto per parlare del risultato, ma credo che ne abbiate tutti un’idea” è quanto dichiarato da Suu Kyi, aggiungendo che “Ci sono state intimidazioni ma le elezioni sono state eque e fondamentalmente libere”. I dati non sono stati ancora confermati dalla commissione elettorale, e la soglia è del 67 % considerando che alla giunta militare spettano unilateralmente il 25% dei seggi.
Rivoluzione democratica? Vedremo. Il futuro del Myanmar desta ancora preoccupazioni, nonostante il leader dell’USDP – il Partito di unione, solidarietà e sviluppo – il Presidente Thein Sein, abbia ammesso la sconfitta, aggiungendo che accetterà il risultato delle elezioni. Innanzitutto: i militari rispetteranno l’esito del voto? L’autorizzazione per lo svolgimento di libere elezioni spinge a presumere che sia così; impossibile continuare a soffocare il paese ed isolarlo internazionalmente. Ma la presenza dell’Esercito resta ingombrante: il Tatmadaw – le Forze Armate, che contano all’incirca 500.000 uomini – sono ovunque, non solo al potere; discreti ma onnipresenti. Secondariamente, il paese deve affrontare rivendicazioni secessioniste – tipiche di un paese etnicamente diviso – ed una dilagante povertà, in un paese un tempo ricco. Ma Aun Sang Suu Kyi ha dalla sua l’incondizionato amore di un intero popolo, oltre che un partito in esponenziale ascesa; è vero, l’eroina verrà messa a dura prova durante l’esercizio della Presidenza. Ma a trionfare, per l’ennesima volta, è la Libertà.