- A cura di Luca Proietti Scorsoni – La dritta ha di certo una sua rilevanza, seppur affiancata da un retrogusto di già visto e da quel tocco di “déjà-vu” che un po’ di malinconia e amarezza lo porta, non dico di no. Però i fatti sono questi: a quanto riporta il quotidiano Libero, sembrerebbe che il Cav abbia depositato, presso “l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno dell’Unione Europea”, due marchi indicanti possibili nuovi soggetti partitici: “Centrodestra unito” e “Centrodestra per la libertà”. Ora, a parte il fatto che un po’ d’originalità in più nella scelta dei nomi non sarebbe di certo guastata, qui la polpa della notizia c’è tutta ed è assai gustosa. Un nuovo movimento che raccolga le attuali sigle orbitanti attorno alla galassia liberale: da Forza Italia alla Lega, passando per Fratelli d’Italia fino ai vari cespugli dello zero virgola. Per certi aspetti una strada obbligata visto come si va a preannunciare la nuova legge elettorale che non premierà le coalizioni bensì le liste uniche. Sempre nel pezzo, a firma di Bechis, si paventa addirittura la possibilità che tale “partitone” faccia il suo debutto nelle prossime amministrative, in una sorta di prova generale in attesa delle ben più importanti elezioni politiche. Ebbene, da fusionista convinto quale sono, non posso che accogliere positivamente tale novità, purché non venga riproposto il solito contenitore insipido che in passato ha già fatto capolinea su queste latitudini geografiche e politiche. Realizzare il partito unico di centrodestra è un qualcosa di ben più complesso rispetto ad una semplice, ma assolutamente sterile, sommatoria di sigle. Su tale questione riflettevo, guarda caso, pochi giorni fa, mentre tra le mani avevo un saggio di Adalberto Baldoni: “STORIA DELLA DESTRA – Dal postfascismo al Popolo della Libertà”. Sapete, capita talvolta che per essere investiti dall’essenza di un testo non serve dar vita al fruscio delle pagine: basta un colpo d’occhio ai caratteri impressi sulla copertina. Ebbene, non lo nego e, anzi, lo ribadisco: avrei tanto voluto che il racconto delle destre si fosse concluso con un ultimo capitolo dal titolo eloquente: Popolo della Libertà. Esattamente così. Per dirla come Fukuyama, questo partito doveva incarnare la nostra personalissima “fine della storia”. Attenzione, un epilogo non tanto legato ai contenuti – i quali, viceversa, sono tenuti a subire una continua evoluzione dettata dalle mutevoli condizioni della realtà fattuale – quanto rivolto all’involucro. Infatti è proprio sulla confezione che si doveva apporre un sigillo indelebile e definitivo. Dopo una narrazione prosaicamente dipanatasi per decenni, ed impreziosita perfino da qualche punta poetica, il “soggetto unico” avrebbe dovuto assumere le fattezze di una naturale meta di approdo delle molteplici sensibilità politiche e culturali catalogabili come conservatrici e libertarie. Nel partito unitario avremmo avuto il trionfo di una pluralità di esperienze, tutte convergenti in un gran finale a vocazione corale e fusionista. Ed invece è accaduto che quel nobile ideale è collassato sotto il peso della sua leggerezza progettuale e perfino di una scarsa contezza dei mutamenti che, quel processo di unificazione, avrebbe innescato in gran parte della società italiana. E pertanto il nostro presente al momento è condensato da una manciata di pulviscolo partitico e da un progetto inconsistente quanto un alito di vento. A meno che, appunto, per il divenire futuro non divenga realtà una sorta d’innesto dei ricorsi vichiani nella pianta italica della Destra: magari si sta prefigurando davvero una nuova possibilità di praticare l’arte della politica tutti insieme, appassionatamente, sul serio. Certo, al momento abbiamo (forse) due sigle, poche lettere, un articolo in più o in meno: troppo poco per avviare una rivoluzione. Tuttavia immaginiamo per un attimo che la semantica abbia in se il principio di modellare plasticamente l’essenza dell’oggetto indicato. In tal modo non affiorerebbero particolari patemi nella gemmazione e successiva fioritura della nuova realtà politica. Come dire: in un’elegante confezione di Brunello non posso di certo inserire una squallida bottiglia di vino scadente. Parallelismi enologici a parte qui si deve puntare ad un progetto in grado di inebriare davvero cuori e menti. Un disegno di lungo corso, capace di aggregare molteplici storie, visioni variegate e suoni polifonici. Perché questo è il punto dirimente dal quale non si può prescindere: la ricerca dell’unitarietà partitica nella pluralità delle culture e delle sensibilità conservatrici e liberali. Ognuno deve riversare nel nuovo contenitore il proprio vissuto politico e, al contempo, si deve mettere in gioco, deve contagiare e farsi contaminare da racconti differenti si, ma non distanti. Insomma, questo GOP in salsa italica, se davvero vedrà la luce, sarà l’ultima occasione per partecipare assieme all’elaborazione di una nuova trama politica, sociale e intellettuale. Non bruciamo tale possibilità.